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Terra di lavoro, alla ricerca di simboli per la comunità

Di Stefano Fantino il . Campania, Dai territori

Scrivo da un luogo che è ora un simbolo. Scrivo da una villa che fino
a pochi anni fa era la residenza di Dario De Simone, capozona camorrista
di Trentola Ducenta. Nel 2001 è stato confiscato l’edificio di quello
che sarebbe divenuto uno dei più importanti collaboratori di giustizia,
ed è stato uno spietato killer con 99 omicidi alle spalle. Nel piano
interrato dove il capozona decideva le strategie criminali ora c’è
una sala giochi per ragazzi.

Frutto anch’essa come l’intero
palazzo della ristrutturazione, effettuata in proprio dalla comunità
Capodarco che l’ha ricevuto in gestione dallo Stato. Non facile per
questa associazione, che si occupa di minori in affido, riuscire nell’impresa
soprattutto a causa di impedimenti da parte del Comune che voleva destinare
solo parte del bene all’uso della comunità e che è stato “sconfitto”
solo da un ricorso al Tar. Ora questo bene rappresenta una delle realtà
meglio avviate e pienamente in funzione: un simbolo per la comunità.
Proprio qui, nell’ambito del festival “Le terre di Don Peppe Diana”,
ha avuto luogo un dibattito sul futuro dei beni confiscati.

Provincia di Caserta: una
situazione perfettibile.
Sono un forte segno i beni confiscati,
sono una rivincita della società sui camorristi e rappresentano un
importante segno che intacca la apparente invincibilità della criminalità
organizzata. Ma in Terra di Lavoro ad un altissimo numero di beni confiscati
alla camorra, circa 400, fa da contraltare una irrisoria percentuale
di utilizzo (circa il 10%) . A spiegare alcune importanti “imperfezioni”
nel processo che porta alla piena presa di possesso del bene è Mauro
Baldascino dell’osservatorio provinciale sui beni confiscati. Innanzitutto
tempi fin troppo elefantiaci a livello burocratici e un malcelato disinteresse
della politica per una questione invece assai rilevante. «Ormai è
chiaro che nell’agenda dei politici non rientri la questione
dei beni confiscati perché spesso si delega il tutto all’autorità
giudiziaria e alle forze dell’ordine senza pensare alla strategica
importanze che le amministrazioni locali hanno in questo campo, che
può aiutare a formare simboli forti di rilancio per le comunità»
dice Baldascino. Una dimenticanza che spesso si tramuta da tacito consenso
a vera e proprio connivenza che unisce “malapolitica” e camorra
contro l’utilizzo di questi bene.

Rilanciare la programmazione.
Per fare fronte a una situazione del genere alcune soluzioni, apparentemente
semplici ma mai prese in considerazione, potrebbe sicuramente snellire
e migliorare l’iter di assegnazione. Molto spesso all’interno di
beni confiscati si attuano programmi, affidati ad alcune associazioni,
che operano nel volontariato, nell’educazione civica

di ragazzi. Integrare questi
programmi nell’agenda politica di pianificazioni dei servizi sociali
sarebbe la soluzione per non relegare i beni confiscati in un ghetto.
Questo è infatti un grande problema: per la loro particolare origine
i beni in questione vengono trattati spesso con il solo crisma dell’eccezionalità
senza che una visione meno austera e più duttile sia presa in considerazione
per integrare questi percorsi nella normalità di una gestione amministrativa
locale. Un’altra dimensione da superare è quella che vede il bene
confiscato tagliare il traguardo della ristrutturazione che non dovrebbe
essere il fine ultimo: il riutilizzo va infatti ben oltre un programma
di recupero meramente fisico di uno stabile. La sua messa in attività
solamente mette in circolo il valore virtuoso del suo recupero.

Libera Terra, un nuovo inizio

Una situazione anche dal punto
di vista legislativo parecchio perfettibile. Vito Faenza, del Corriere
del Mezzogiorno, sottolinea alcuni punti deboli della legge italiana
come quello che «prevede la confisca solo se il titolare è pericoloso
o quella che dopo la morte del titolare prevede la non confiscabilità
del bene». Ma nonostante queste situazioni qualcosa continua a muoversi
sull’onda della legge 109/96, nata grazie alle firme di un milione
di persone. Qui in Terra di lavoro, una nuova cooperativa all’orizzonte.
Lo sottolinea Geppino Fiorenza, referente di Libera Campania, sollecitando
l’intervento di Davide Pati, responsabile beni confiscati di Libera,
che annuncia la nascita di una cooperativa agricola su un bene confiscato
nel casertano. Pati sottolinea inoltre, dopo la ottima notizia che ha
recato, le difficoltà che una cooperativa su un bene confiscato vede
moltiplicarsi intorno a sé dopo la nascita, tra attentati e tentativi
di insediamento da parte della criminalità organizzata. Una realtà
da non sottovalutare ma che pare superabile guardandosi intorno e vedendo
una villa recuperata totalmente e capace di ridare qualcosa alla comunità.

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