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Per amore del suo popolo

Di Stefano Fantino il . Campania, Dai territori

La
villa di Luigi Venosa è un qualcosa di inquietante. Si entra da un
portone e davanti a noi subito la parte della proprietà adibita ad
abitazione. Vetri rotti, erbacce. Frutto dei vandalismi che hanno colpito
questo bene. Sulla destra un piccolo arco e poi uno slargo. Il parcheggio
che si apre. Tre entrate per le macchine, ciascuna su una diversa strada.
Qualche albero, pareti alte che limitano lo spazio come se si fosse
dentro un carcere
. Un fortino di massima sicurezza recuperato
alla comunità e messo a disposizione del festival dal sindaco Zara.
 

Tra queste mura il festival
vuole ricordare la persona di Don Peppe Diana, strappata alla vita,
la mattina del 19 marzo del 1994 per volontà del clan dei Casalesi.
 

La normalità del dovere
. Non per ricordare un eroe ma una persona normale, straordinaria però
nella sua devozione al dovere e alla propria funzione di sacerdote che
non «rimane nella sua sacrestia ma va incontro ai giovani, in mezzo
alla gente».In queste parole il ricordo del giornalista Raffaele Sardo
che legge nella morte di Don Peppino una situazione di stragismo terrorista
che sull’onda delle stragi palermitano ha mostrato di sapere attecchire
in maniera fertile nella terra casalese. Ora, a distanza di quasi quindici
anni, si ripropongo alcune iniziative sanguinare da parte della camorra
locale. Ma non sono una reazione (almeno non solo) alle vittorie cui
vanno incontro le sentenze Spartacus, ma un preciso attacco a chi vuole
spezzare quell’importante vincolo che lega imprenditoria e camorra.
La morte di Domenico Noviello appunto: «la volontà di mettere a tacere
– sottolinea Sardo – chi sembra minare tale rapporto economico-finanziario».
Rispetto ad allora qualcosa è nato, come la società civile che in
nome di Dona Diana ha voluto questo festival, tuttavia Sardo stigmatizza
l’assenza della politica e il silenzio, assordante, della Chiesa.
 

L’eredità di don Peppe
Diana.

«Nonostante tutto siamo qui,
questo popolo che ha saputo esprimere persone alternative alla camorra»,
dice Renato Natale, già sindaco di Casale. Sono ricordi i suoi che
affondano fino a 25 anni fa, a quel 1983 in cui a Casale si organizzò
il primo corteo anticamorra. Quando i camorristi col mitra giravano
in auto indisturbati. Quando lui, sindaco del PCI, univa le sue forze
al prete don Diana per andare incontro alla popolazione. E poi quel
viso sfigurato la mattina del 19 marzo. Brutalizzato ma capace di spingere
14 anni dopo alla creazione di un festival che porta il messaggio di
Don Diana alla gente. Lo sottolinea Salvatore Cuoci,  riportando
il messaggio di Rosario Gioè, autore di un libro su Don Diana. Una
memoria che per tanti forse è ancora sconosciuta o da non ricordare.
Non per quelli che in questi anni si sono organizzati nel comitato don
Peppe Diana e hanno attuato una vera e propria «resistenza in questi
territori». Ne è convinto anche Valerio Taglione, organizzatore della
tre giorni, visibilmente emozionato nel ricordare la morte di quello
che considerava il suo fratello maggiore. Troppi anni ormai che hanno
però visto Valerio in prima linea, hanno visto l’Agesci riconosciuta
parte civile lesa nel processo per la morte di Peppino Diana. E una
voglia di futuro: utilizzare il risarcimento per costruire a Casale
un centro scout internazionale per accogliere i visitatori. E un presente
già avviato: un festival che al di là dei numeri che si vorrebbero
sempre maggiori ha mostrato di saper sollecitare il cuore di molte persone.
La sera a Casal di Principe alle perfomance artistiche nella villa di
via Giacosa le persone in piedi, senza sedia, saranno numerose. Un’ulteriore
passo avanti. Il seme lanciato comincia ad attecchire.

Guarda la gallery del festival

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