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Libera informazione in libera terra

Di Stefano Fantino il . Campania, Dai territori

Casal di Principe (CE) – Nella giornata finale della tre giorni che porterà i partecipanti anche nella villa di Schiavone, la cosiddetta villa Scarface, c’è l’occasione di parlare, in Casal di Principe, di libertà di informazione, da declinare su scala nazionale ma anche sul piano locale, come hanno dimostrato gli intervenuti. Un solo neo: la partecipazione minima degli organi di categoria. Presente Assostampa, l’ordine non ha portato un contributo al dibattito.

Il tema è vasto e offre plurimi spunti. Libertà di informazione in un periodo in cui cala sempre di più l’oscurità, partendo da una situazione decisamente poco rassicurante. Lo ricorda subito Roberto Morrione, presidente di LiberaInformazione, che questo dibattito ha voluto organizzare insieme a Libera Caserta. L’informazione di un paese storicamente menomato da conflitti di interessi, da una editoria impura, da una considerazione mondiale sullo stato della libertà di stampa ai minimi termini (28esima nella classifica di Reportèrs sans frontiers) sta andando incontro ad ulteriori restrizioni. Gli emendamente anti intercettazioni del governo Berlusconi dicono molto a riguardo. Come peraltro i silenzi, ricorda Morrione, come quelli sul processo Spartacus, che solo un caso editoriale ha permesso di prendere seriamente in considerazione dal punto di vista mediatico.


Informare sul territorio. Spartacus, camorra e nuove proposte «Prima della sentenza di appello di Spartacus, una cosa mi ha colpito: le dichiarazioni di Schiavone che diceva di non volere essere ripreso da TeleKabul». Raffaele Sardo cita Schiavone che a sua volta aveva ripreso un termine coniato da Giuliano Ferrara per il tg3 di Sandro Curzi. Un tg integralista, a suo avviso. Sardo ricorda questo passaggio di Schiavone per sottolineare come anche un camorrista punti a screditare agli occhi d’Italia una parte del paese, non legittimata a dire le cose. Un modo per delegittimare la stampa. Non la prima, ricorda Sardo, tra quelli utilizzati dai casalesi contro la stampa. Come quando gli avvocati lessero un documento, dove a pagina 34, venivano definiti “prezzolati” i giornalisti. Un particolare sul quale riflettere. In fondo l’informazione ha la sua forza. La si può misurare, dice il collaboratore di Repubblica «dal forte impatto che le parole, un’accusa tout court alla camorra, di Domenico Bidognetti hanno avuto sulla coscienza dei ragazzi».
Però il giornalismo deve ancora molto al territorio. Insieme alla politica. Perché non può essere uno scrittore (Saviano nda) a portare avanti lo scettro dell’antimafia. Anche per questo una riorganizzazione delle forze sul territorio, potrebbe in ambito giornalistico riportare alta l’attenzione. Il progetto c’è, in nuce, e sta muovendo i primi passi. Una scuola di giornalismo di inchiesta sul territorio per rilanciare, informare, denunciare.

La stampa nazionale sul territorio Partire dal locale, conoscerlo, viverlo dargli spazio. Condividono questo aspetto Toni Mira, di Avvenire ed Enrico Fierro, de l’Unità. In un rapido intervento il giornalista del quotidiano della CEI vuole sottolineare l’importanza di lavorare un po’ meno nelle procure e un po’ di più tra la gente del territorio. Fierro concordando su questa premessa di metodo, apre un discorso più generale sullo status della libertà di stampa nel paese. Una situazione critica. Ingabbiata tra gli ultimi terribili emendamenti berlusconiani e le costruzioni della “fabbrica della paura” e una visione “gossipara”. Un passaggio di Fierro è molto duro: l’utilizzo che fanno quasi tutti i giornali di intercettazioni telefoniche irrilevanti o quantomeno innocue rispetto a vicende più incisive, costituisce un enorme autogol della classe giornalistica. Creare scandali rosa su intercettazioni discutibili rappresenta il maggior aiuto a chi vuole limitare in maniere netta l’uso di questo sistema e vuole punire chi le utilizza.

Telecamorra e giornali al guinzaglio. Rita Pennarola ed Enzo Palmesano lavorano sul territorio. La prima come condirettore de “La Voce delle voci”, il secondo come free lance nell’aria di Pignataro Maggiore, nel casertano. Rita parla delle infiltrazioni, nel napoletano, della camorra nelle emittenti private. Una cosa non nuova. Ma prima la camorra intimidiva, metteva le bombe. Ora è direttamente titolare di emittenti con un conseguente inquinamento dell’informazione.«In che altro modo si potrebbe permettere di tenere attivo un canale su Sky, spesa 50 mila euro al mese, mandando canzoni neomelodiche, senza la camorra alle spalle?». Denunciare questo è il compito del giornalismo, non mettere in galere, non giudicare penalmente, non sostituirsi ai giudici. Denunce Enzo Palmesano ne ha sempre fatte. E dice il giornalista, «dopo l’incontro in novembre con Libera Informazione, la situazione è persino peggiorata con giornalisti che continuano a non aver solidarietà, abbandonati nei loro paesi o messi al bando dalla comunità». E cita diverse situazioni ormai ordinarie, Palmesano. Come l’intervista al giudice Magi, estensore della sentenza di primo grado del processo Spartacus, nella quale ad un certo punto si additano come “infami” coloro che avevano messo il processo sulla strada dei rapporti tra camorra e politica. Fino agli interventi di un noto politico di Mondragone in cui si attaccavano direttamente i giornalisti. Ne è testimone, di queste situazioni, anche il politico Lorenzo Diana. «Le mafie la importanza dell’informazione l’hanno compresa da tempo Giornali che senza filtro permettono ai camorristi di parlare, quando non veri e propri spazi dove vengono cantate “le gesta” dei camorristi». «Una realtà – dice Diana – ma le iniziative di questi giorni e gli spazi che si aprono sono lontani da venti anni fa quando la camorra casalese pareva impunita. Da questo punto di vista Spartacus è servito. Siamo lontani dal 1988 quando i camorristi giravano in macchina armati di mitra e per 45 minuti intasavano le vie della città».

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