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Spartaco non deve finire di nuovo sulla croce

Di Roberto Morrione il . Campania, Dai territori

Il carcere a vita che si è
spalancato di fronte ai 16 capi e affiliati dei clan  conosciuti
come “i Casalesi” segna una tappa importante nel recupero di credibilità 
dello Stato, in un territorio dove per tanti anni e ancora oggi è stata
la camorra  a imporre il suo potere con la violenza, l’intimidazione,
la presenza capillare a fronte di enormi carenze economiche e sociali,
al vuoto del sottosviluppo, all’assenza di una cultura e di valori
condivisi, alle connivenze  di tanta parte della politica e dell’amministrazione
locale. Di fronte al verdetto dei giudici della Corte d’Appello di
Napoli che conferma sostanzialmente la dura sentenza emessa in primo
grado nel 2005 dal tribunale di S.Maria Capua Vetere, il primo pensiero
non può non andare alle tante vittime che hanno costellato dieci anni
di guerre di clan, fino agli ultimi delitti che nel territorio di Casal
di Principe e dell’aversano hanno colpito in un’ autentica offensiva
terroristica imprenditori che collaboravano con la giustizia e familiari
di pentiti. Come ai magistrati che non si sono lasciati intimidire e
agli investigatori, che hanno affinato le loro tecniche d’indagine,
nonostante le poche risorse  disponibili. Una vittoria dello Stato,
come ha giustamente commentato a caldo Roberto Saviano, che ha voluto
essere presente all’atto finale del Processo Spartacus. E’ alla
sua coraggiosa denuncia in “Gomorra” che si deve in gran parte se
è stata sollevata la cortina di silenzio e di colpevole disattenzione,
alimentata  dalla latitanza dei mezzi d’informazione, che ha
circondato negli anni la crescita dell’impero camorrista. Ma – come
ha ribadito Saviano – ora si deve continuare, per dare ai clan un
colpo definitivo, aggredire le loro fortune accumulate e mischiate con
l’economia legale del centro-nord e d’Europa, spezzare il sistema
di complicità della “zona grigia” offerta da ampi settori politici
e amministrativi, animati dal perdurante voto di scambio e dal dilagare
della corruzione.

Il pensiero, peraltro, corre
a quanto accadde in Sicilia con il  maxi-processo istruito a Palermo
da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In situazioni certo dissimili
(perché Cosa Nostra aveva una struttura centralizzata diversa da quella
dei clan camorristi, ma alla quale i “Casalesi” si sono almeno in
parte poi ispirati) con un’attenzione della stampa e della TV di
ben altra proporzione, ci fu anche allora “un prima e un dopo”.
A quanto era accaduto prima rispose lo straordinario lavoro del “pool”
della procura, ma in quello che accadde dopo intervennero in vari modi
poteri, complicità, rivalità e gelosie, i veleni all’interno della
Procura e dello stesso CSM, insieme ai consolidati interessi di gruppi
politici allora dominanti e ai nascenti poteri affaristici che si affacciavano
alla politica, che permisero insieme l’indebolimento e la frantumazione
dello stesso “pool”, l’isolamento dei magistrati più lucidi e
quindi più esposti, fino alle feroci stragi degli anni ’90. E la
stessa, straordinaria risposta della magistratura, con il lavoro volontario
di giudici venuti dal Nord , come Giancarlo Caselli, Ilda Boccassini,
Luca Tescaroli, affiancati al coraggioso impegno dei colleghi siciliani
cresciuti alla scuola di Falcone e Borsellino, risultò presto vanificata
da un’opera sistematica di attacchi denigratori, di tentativi di delegittimazione,
di campagne mirate che seguirono e furono figlie degli eventi politici
nazionali, fino a leggi sbagliate, all’isolamento e al discredito
del contributo dei pentiti.

Oggi, se il “prima” ha
avuto un esito positivo da parte della Giustizia nella conclusione di
questo eccezionale processo, finora mantenuto vergognosamente al di
fuori della conoscenza dell’opinione pubblica e della ribalta dei
media, il “dopo” si presenta carico di incognite, che vanno affrontate
e chiarite.Come si intende procedere,
da parte dello Stato, per affondare il colpo nel sistema diffuso delle
protezioni, degli accordi segreti, delle connivenze da parte di amministrazioni,
esponenti politici, gruppi imprenditoriali, che attraverso il controllo
e la spartizione degli appalti pubblici e degli investimenti europei
consentono al potere criminale di controllare il territorio, per non
parlare dell’immenso affare dei rifiuti che sta inquinando gran parte
della Campania e che porta con sé – come denunciato e documentato
dal Presidente Napolitano – responsabilità finora inesplorate di
tante imprese del Nord?
 

Che seguito avranno nel Parlamento
e da parte del governo le iniziative e le denunce frutto dell’impegno
della precedente Commissione Antimafia e quando e con chi sarà ricostituito
e potrà operare questo organismo? Quali misure concrete verranno prese
per intaccare le fortune economiche accumulate dalle mafie e soprattutto
per spezzare i circuiti finanziari del loro riciclaggio praticamente
in atto in tutte le regioni italiane? E in che modo verranno aiutate
le componenti oneste che in ciascuna regione ad alta presenza mafiosa
continuano a battersi, ad alimentare la cultura e le iniziative della
legalità, a formare cooperative, a gestire con il lavoro dei giovani
i pochi beni di origine mafiosa sequestrati e resi disponibili a un
impiego sociale e controllato? Quali risorse e quali interventi di migliore
organizzazione si vogliono dedicare alle procure più esposte e alle
stesse forze di polizia impegnate in prima linea ?

Il quadro generale costruito
dal governo Berlusconi non è certo di buon auspicio in questa direzione.
Le scelte sulle intercettazioni telefoniche, come gli emendamenti-pirata
inseriti a forza a salvaguardia degli interessi personali e dei 
timori giudiziari del premier, addirittura ostentati in Parlamento,
non solo hanno lacerato almeno per ora una tela di possibile dialogo
con l’opposizione, ma hanno indotto la magistratura a scendere in
trincea e a lanciare un serio allarme per le sorti di una Giustizia
fatta di eguali diritti per tutti i cittadini e che si vuole invece
a più velocità, mentre si profilano pesantissimi scontri istituzionali.

Non dimentichiamo dunque la
lezione di Palermo, quel “prima” e soprattutto quel “dopo”.
Le squadre di killer e anche spesso i loro capi operativi, si riformano
rapidamente, se non si spezzano i legami perversi e le connivenze delle
“zone grigie”, dei politici e dei gruppi di potere, dell’affarismo
senza regole e senza scrupoli. Il parlamento e il governo della Repubblica,
che un voto popolare non ha certo legittimato a picconare i fondamenti
della Costituzione e gli eguali diritti dei cittadini di fronte alla
legge, hanno il dovere morale e storico, ancora prima che politico,
di non lasciare soli i rappresentanti dello Stato che continuano a combattere
per conto di tutti noi sulla frontiera della Giustizia.

E infine una grande, specifica
responsabilità pesa sull’informazione, dai giornali alle emittenti
radiotelevisive, quella pubblica e quelle private. Spartaco finì in
croce, inchiodato dal potere, ma allora non esisteva una “pubblica
opinione”…

Cerchiamo dunque , con la nostra
onestà, etica e professionale, tenendo bene accese le luci su quanto
sta accadendo e potrà ancora accadere, di informare fino in fondo i
nostri lettori e spettatori, per evitare che finisca allo stesso modo.
Che Spartaco, questa volta, prevalga, per i diritti di tutti  e
per il futuro della democrazia.

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