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Clan dei Casalesi, riorganizzazione in corso

Di Pietro Nardiello il . Campania, Dai territori


La recrudescenza criminale che ha nuovamente catapultato la provincia di Caserta al centro dell’attenzione della stampa nazionale, a dire il vero sempre più distratta e ad altre faccende interessata, ha (ri)acceso i riflettori esclusivamente sull’aspetto militare del clan di riferimento più influente di questo territorio, quello dei casalesi, eludendo dalla propria analisi approfondimenti e riflessioni più ampie con le quali superare l’ordinaria cronaca.

Tre omicidi, il “dichiarante” Michele Orsi, Domenico Noviello e Umberto Bidognetti, la mancata eliminazione di Francesca Carrino, la distruzione con un incendio della ditta di Pietro Russo, presidente dell’associazione antiracket di S.Maria Capua Vetere, rappresentano la punta di un iceberg molto inquietante che si completa con attività molto più redditizie ed importanti:aggiudicazione di appalti pubblici e privati, imposizioni di tangenti, condizionamento della politica e dell’economia, infiltrazione nella gestione dei beni confiscati, intervento attivo nella gestione rifiuti, alta capacità di corruzione delle forze dell’ordine. Tutte attività di una struttura criminale brava a mostrare i muscoli, quando serve, ma senza dubbio capace di operare nel silenzio per fare affari ed aumentare la capacità di controllo del territorio.

Non solo guerra, dunque, in terra di camorra. Molto bene fa Sergio Nazzaro, quando dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno, afferma di non credere «nell’ubriacatura di questo potere criminale, affiliato alla mafia, che sembra sparare senza riflettere sulle devastanti conseguenze che può causare l’utilizzo del grilletto». In sintesi Nazzaro dice che gli autori di questo rumore, cioè la regia di questi assassini potrebbe nascondersi lontana da Casal di Principe, in ambienti dove ciò che fa più paura non sono le conseguenze della sentenza del processo “Spartacus” ma l’inchiesta “Eco Quattro”. Quella sullo scandalo rifiuti, per intenderci, “emergenza” grazie alla quale si continua a disporre di un’enorme quantità di denaro, una torta, insomma, ancora molto appetitosa.

Destabilizzare, dunque, per stabilizzare, far rumore in casa d’altri per indurre al silenzio chi sa e potrebbe decidere di parlare così come stava facendo Michele Orsi. Con le armi, i generali della camorra hanno voluto far capire a politici, dirigenti e amministratori, a tutta quella associazione per delinquere che da più di quindici anni avvelena i territori della regione Campania, compie attentati alla salute pubblica, di fare silenzio.

A Casal di Principe si afferma che alcune azioni intimidatorie che si sono susseguite negli ultimi tempi, come ad esempio le scritte ingiuriose nei confronti di Rosaria Capacchione e Roberto Saviano, sono da attribuire a Francesco “Sandokan” Schiavone. In silenzio si afferma che «questo è proprio il suo modo di fare, che è ancora lui al comando del clan anche se gli inquirenti affermano che gli uomini di riferimento dovrebbero essere Iovine e Zagaria».

Ragioniamo. Allora se questo rumore che giunge da lontano per fare confusione nelle piazze di Casal di Principe, così come intelligentemente scrive Nazzaro, avesse in cabina di regia anche Francesco Schiavone? Lui, probabilmente, potrebbe ben gradire la caccia ai latitanti che lo Stato vuole avviare sul territorio, anche con un avamposto presente proprio sul territorio.
Oltre al sistema politico, chi potrebbe giovare di tutto questo se non proprio la famiglia Schiavone?

Nell’ultima relazione della commissione nazionale antimafia della passata legislatura si leggeva che «all’interno del gruppo si sta facendo strada il figlio di Francesco Schiavone, Nicola, ancora incensurato e molto attivo nel campo imprenditoriale, con rapporti nel nord Italia e nell’est Europa».
E’ semplice dedurre quindi che all’interno del clan, che agli occhi degli osservatori sembra si sia ricompattato per affrontare insieme l’imminente sentenza d’appello del processo “Spartacus”; si sia avviato già da tempo una riorganizzazione che dovrebbe garantire la sopravvivenza proprio ad uno dei capi storici, alla sua famiglia che insomma preferisce fare affari in silenzio ed accettare l’uso delle armi proprio per raggiungere la pace, l’unità d’intenti.

Durante una deposizione resa in tribunale Francesco, Sandokan, Schiavone sostenne che in realtà per quel gruppo di persone sottoposte al processo “Spartacus”, «rappresentava un errore parlare di camorra perché quegli uomini altro non erano che dei bravi imprenditori anche un po’ invidiati».Una provocazione, certo, ma senz’altro un’indicazione di come questo boss intende condurre la propria famiglia ed i suoi affiliati. Le cronache, invece, preferiscono considerarli ancora bufalari diventati uomini d’onore.

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