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Trapani: il ricordo di Ninni Cassarà

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

Come ricordare un investigatore di Polizia come Ninni Cassarà? L’attuale capo della Squadra Mobile di Trapani, il vice questore Giuseppe Linares, lo ha spiegato parlando a Castellammare dove a Cassarà, negli anni ’80 capo della Mobile a Trapani prima e a Palermo dopo, ucciso da un commando mafioso davanti casa sua e davanti gli occhi di moglie e figlia il 2 agosto del 1985, è stato intestato il comando della Polizia Municipale. «C’è un solo modo per ricordare – dice Linares –  ed è quello che contraddistingue il nostro lavoro ancora oggi, e cioè proseguire in continuità con ciò che ci è stato lasciato, mantenendo alta la “determinazione” che fu mostrata dai nostri colleghi».

Castellammare del Golfo non è un centro qualsiasi. È un bel paese, affacciato sul mare, su un golfo tra Palermo e Trapani, acque cristalline, la riserva naturale dello Zingaro, l’antico borgo di Scopello, ma anche la mafia che qui non è mai stata di passaggio. Ha le sue radici. Castellammare è il paese che ha dato i natali ai più importanti boss italo americani di Cosa Nostra, ma anche a quelli più potenti della sola storia siciliana e italiana. I nomi? Joe Bonanno per esempio, che si dice sia stato il personaggio che Mario Puzo nel suo «Padrino» chiamava don Vito Corleone, ma anche Gioacchino Calabrò l’ex lattoniere immischiato con mafia e massoneria, l’uomo delle autobombe, quella di Pizzolungo destinata il 2 aprile 1985 al giudice Carlo Palermo e quella che nel 1993 doveva scoppiare davanti allo stadio Olimpico di Roma dove di solito fermano i bus che portano gli agenti delle forze dell’ordine, ma un timer guasto non diede l’innesco, o ancora Mariano Asaro l’odotecnico il cui nome compare in molte delle indagini sui fatti più misteriori delle connessioni mafiose ma che è semrpe uscito indenne, e poi don Ciccio Domingo l’ultimo capo mafia della cosca castellammarese, soprannominato per la sua «violenza» verbale e materiale don Ciccio Tempesta, una indagine di squadra Mobile e Polizia di Castellammare fece scoprire che divideva il «bastone» del comando con la moglie Antonella Di Graziano, tutti e due sono stati condannati, e la loro condanna ha portato allo scioglimento per mafia del Comune, fatto unico nella storia politica castellammarese.

Nessuno era mai riuscito a dimostrare l’inquinamento di Cosa Nostra nella gestione amministrativa del Comune. L’indagine su don Ciccio Tempesta e sua moglie Antonella Di Graziano portò a dimostrare una serie di agganci che la cosca aveva dentro al Comune, tra politici e burocrati, anche il comandante della Polizia Municipale era a disposizione. Oggi all’ingresso di quel comando c’è la targa che ricorda Cassarà che alla squadra Mobile di Trapani aveva cominciato a lavorare attorno alla cosca castellammarese, quando facendo irruzione in un circolo «bene» della città aveva trovato professionisti, latifondisti e mafiosi, tutti attorno ai tavoli verdi.

Ma a Castellammare c’è un’altra targa, è stata posta all’ingresso della nuova biblioteca multimediate che porta il nome di Barbara Rizzo Asta e dei suoi figlioletti, i gemelli Salvatore e Giuseppe, dilaniati dal tritolo mafioso di Pizzolungo. Per Castellammare è un giorno di riscatto, una sorta di perdono per risanare una frattura che si era aperta con lo Stato a seguito di quei fatti di sangue manovrati proprio da castellammaresi, a chiare lettere definiti «i peggiori cittadini». In nome dei suoi migliori figli, la commissione straordinaria ha voluto fare queste due intestazioni. «Con queste intitolazioni abbiamo voluto – ha sottolineato il prefetto Antonella De Miro, a capo della commissione straordinaria del Comune – ricordare le vittime della mafia. E’ importante la memoria per sperare in un cambiamento del nostro paese perché attraverso la memoria di questi tragici fatti è possibile motivare la cittadinanza ad una assunzione di responsabilità collettiva per un impegno corale nell’affermazione della legalità».

Come continuare a ricordare allora? L’immagine più importante di Ninni Cassarà che viene indicata dal vice questore Linares è quella che ritrae il poliziotto in una foto mentre indossa la fascia tricolore che spetta ai commissari di Polizia: «Non è la divisa che ci distingue – spiega il vice questore Giuseppe Linares – ma è quel tricolore che ci è concesso portare, la rappresentanza istituzionale affidata a noi funzionari di Ps che lavoriamo per lo Stato. Qui questa fascia l’hanno indossata “giganti” che come Cassarà hanno affrontato il crimine e conosciuto la solitudine che i collusi hanno cercato di creare attorno.

 

Trapani,1980/2008. Cassarà fu dirigente della Mobile di Trapani dal 1980 al 1984, prima di finire ucciso a Palermo il 2 agosto del 1985, quando voleva mettere le mani sui patrimoni illeciti di mafia e imprenditori collusi. Oggi il tentativo di isolare chi lotta la mafia non è finito, prosegue, non si ferma mai, i «cattivi cittadini» sono pochi ma sono ovunque, ma rispetto a quegli anni ’80 le conoscenze di Ninni Cassarà, i suoi sospetti, grazie al lavoro di chi è a lui succeduto, Giorgio Collura, Rino Germanà, il commissario di Mazara oggi questore a Forlì, che Riina e Messina Denaro volevano uccidere in quell’estate del 1992, Antonio Malafarina fino a Giuseppe Linares, sono diventati certezze processuali, ci sono le condanne, i patrimoni e gli interessi mafiosi vengono aggrediti, ci sono le confische, i boss devono stare sommersi non solo per strategia ma anche per non farsi scoprire e vedere, i complici non sono del tutto ignoti. Il 1985 fu un anno terribile per la Sicilia, disgraziato, la mafia «regnava» e uccideva.

 

A Castellammare era presente alla cerimonia per la duplice intestazione anche Carlo Palermo, non ebbe mai il tempo di venire qui quando era pm a Trapani, Cosa Nostra a 40 giorni dal suo arrivo a Palazzo di Giustizia cercò subito di ucciderlo, e fece la strage dilaniando Barbara Rizzo ed i suoi figlioletti. È toccato ancora agli «eredi» di Cassarà lavorare su quella strage, riaprire i facicoli, e portare i giudici ad emettere le condanne.  Nel 1985 due ignoti imprenditori qualche giorno prima di quella strage vennero fermati con una cartina stradale di Pizzolungo tra le mani, erano Vincenzo Virga e Francesco Genna, anni dopo si scoprirà grazie che quelli erano il capo mafia ed il suo vice del mandamento trapanese, che non erano in giro a provare l’auto, ma che con quella cartina stavano facendo un sopralluogo per intercettare il tragitto che seguiva solitamente l’auto del giudice.

 

Virga anche per questo è stato condannato all’ergastolo, e nel frattempo altri sospetti, stavolta quelli del giudice Palermo ai quali lui non ha avuto concesso molto tempo per meditarci su, sono diventate certezze processuali, la mafia ed i traffici di droga e di armi che passavano da questa provincia sono stati individuati, i soggetti che li gestivano sono stati condannati, sono cadute un paio di teste, e l’esistenza della mafia non è più negata. È già un risultato: sarà completo quando si otterrà anche il riconoscimento sull’esistenza dei «complici» di Cosa Nostra, quelli che non sono «punciuti» ma spesso sono più boss dei veri boss.

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