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Mafie: ritrovare la forza di informare

Di Stefano Fantino il . Altre regioni, Dai territori

La sorpresa arriva nel finale.
Un preciso assist, raccolto al volo, in maniera inaspettata. Un interesse
concreto della Rai per la sentenza di appello del processo Spartacus,
contro i casalesi, sembra esserci. Lancia la proposta, Roberto Natale,
presidente della Fnsi, come utile segno di vitalità giornalistica entro
un contenitore, quello televisivo, spesso concentrato su aspetti della
cronaca poco rilevanti socialmente. Dall’altra parte raccoglie Corradino
Mineo, direttore di Rainews 24, un po’ in disparte durante la presentazione
a Riccione di “Giornalismi e Mafie”, libro facente parte dei “Taccuini del premio Ilaria Alpi” curato da Roberto Morrione in collaborazione con Libera Informazione. «Abbiamo
ricevuto dalla dirigenza Rai la disponibilità a coprire l’evento
– dice Mineo – e anche Riotta  e Di Bella hanno mostrato interesse
a creare un sorta di staffetta giornalistica per dedicare una settimana
ad un processo così importante».

Sarebbe
sicuramente un risultato significativo. In un giornalismo che, come
ricorda Roberto Natale, «deve riflettere e ridare significato ad alcune
sue categorie significative, prima fra tutte quella che definisce cosa
sia la cronaca». Categorie spesso stravolte in nome della creazione
di un’ “industria mediatica della paura” e dello sfruttamento
epidermico di notizie private senza alcun valore sociale a scapito di
tematiche ben più importanti e pervasive come quelle legate alle mafie.

Concorda sulla visione di fondo
anche un magistrato di prima linea come Giancarlo Caselli, autore della
prefazione al libro, che indica nel dovere di informare una delle fondamentali
opportunità per un movimento antimafia di crescere e rendersi incisivo
nella società.  

Saverio
Lodato, esperto giornalista e scrittore, pungolato da Morrione spiega
perché, a suo avviso, quella dell’antimafia è stata una esperienza
cresciuta in fretta e invecchiata troppo presto. Perché una volta cresciuto
un movimento antimafia che ha permesso di minare l’ala militare della
mafia è mancato un passo successivo, quello che permettesse di «denunciare
le connivenze politiche e i legami finanziari dei mafiosi». Rendere
pubbliche quelle complicità che secondo Lirio Abbate, il giornalista
dell’Ansa di Palermo, è l’unico modo di fare giornalismo. «Il
giornalista – dice Abbate – non ha i limiti di alcune regole o leggi
che guidano l’operato di magistrati e polizia. Il giornalista è libero
di raccontare e deve farlo». E quando racconta del business, degli
affari, dei grandi interessi economici scatta la minaccia. Lirio ne
ha subite e vive sotto scorta. Non è il solo. Nel libro anche altri
colleghi che sono stati intervistati parlano di minacce, di macchine
bruciate, di strani avvertimenti.

Colleghi
che hanno tenuto la schiena dritta, che non cercano glorie personali,
ma vogliono fare il mestiere di giornalisti fino in fondo, cosa necessaria
per non divenire, come ricorda Lodato citando Sciascia, «un paese senza
verità». Ma in fondo mancano davvero questi giornalisti coraggiosi?
Secondo Alberto Spampinato, giornalista fratello di Giovanni e ospite
in sala, manca invece il coraggio degli editori che permettano una informazione
seria e non orientata solamente ad una quantità che non tiene conto
della verità, sommersa, ormai, nelle più bieche logiche di mercato.
In un mercato mediatico “impuro” come quello italiano, potrebbe
essere la Rai, racconta Morrione, a far emergere con la sua capillare
copertura regionale una informazione potenzialmente feconda. L’occasione
a breve si farà viva. Mancano pochi giorni alla sentenza di appello
di Spartacus. Vedremo se l’informazione “perduta” sfrutterà l’occasione
per ritrovarsi. Almeno un po’.

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