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“Peppino derideva i mafiosi, l’ironia per la mafia è un’arma letale”

Di Chiara Putaggio il . Dai territori, Sicilia

“Se la mafia è questa io per tutta la vita mi batterò contro”. Frase un po’ sgrammaticata forse, ma che ha segnato l’inizio di una vita spesa interamente contro la mafia. Giovanni era ancora un bambino piccolo quando suo fratello Peppino pronunciò queste parole, ma quel  momento è ancora scolpito nella sua mente. Peppino le disse in occasione dell’assassinio di loro zio, don Cesare Manzella. Fino ad allora gli Impastato erano stati uomini d’onore fedelissimi a Cosa nostra. Ebbene, nonostante le origini, quella morte traumatica vissuta da piccolo, quello scoppio di un’auto sconosciuta in una stradina di campagna, secondo quanto raccontato dal fratello, cambiò in maniera radicale l’opinione che Peppino aveva della mafia. “Iniziò lui, bambino, da solo una battaglia che poi negli anni ci vide combattere in tre, Peppino, mia madre ed io”. 

 Un appuntamento con la legalità che ha visto protagonisti, gli studenti dell’Istituto tecnico agrario “Abele Damiani” diretto dal preside Giuseppe Graffeo. Un giorno speciale a conclusione del “Progetto Legalità”, promosso dal Centro “Pio La Torre”  e coordinato dal professore Nino che ha consentito ai suoi studenti di conoscere  Giovanni Impastato. Oltre tre ore dense di storia di una vita spesa contro la mafia.  Lotta iniziata negli anni settanta da Peppino, Giovanni, in breve tempo, è diventato, negli, occhi, nei gesti e nelle parole degli studenti uno di loro (al punto che al momento di scattare la foto un alunno insisteva sul farsi fotografare abbracciato a Giovanni). Doppia “testimonianza” prima la visione del film di Marco Tullio Giordana “I cento passi” e poi un’intensa chiacchierata con un testimone che non intende interrompere una battaglia che ha al suo attivo più di trent’anni.

“Io – rivela con il tono confidenziale che si usa con gli amici – avevo un carattere completamente diverso da Peppino. Lui era energico e aggressivo anche se solo a parole. Non ha mai alzato le mani – precisa- e mi spronava a fare sempre di più. Per lui io mi cullavo sugli allori”. Ma negli anni le cose sono cambiate e Giovanni ha continuato il cammino intrapreso dal fratello. “È incredibile la modernità del pensiero di Peppino – spiega – oggi le sue parole, i suoi scritti sono attuali più che mai”. “Peppino – aggiunge Nino Rosolia – ci ha insegnato la necessità di essere autorevoli, ci ha mostrato un radicamento nel territorio mai visto prima e ci ha dato una chiave che tronca le gambe alla mafia: l’ironia. L’ uomo d’onore, prima di Peppino, non era mai stato deriso.

L’ ironia è un’arma incedibile che sottrae consensi”.  Tante le domande degli studenti – uno dei quali ci ha particolarmente colpito perché insisteva nel volersi far fotografare mentre abbracciava Giovanni, quasi fosse uno zio, un membro della famiglia – Giovanni ha risposto a tutti e ha commosso tutti in diversi passaggi, specie quando ha parlato di suo padre Luigi. “Nel momento in cui è corso in America per chiedere aiuto affinché nessuno facesse del male a Peppino, in lui il mafioso non c’era più, era solo un padre disperato che voleva salvare suo figlio a tutti i costi. Quella fu la sua condanna a morte”.

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