3. Nella San Luca che nessuno racconta: «Rubano il nostro dolore, poi scappano via»
“Vengono a prendersi il nostro dolore e la nostra sofferenza, ma qui il cuore non ce l’ha portato mai nessuno”. Grandi e piccoli inviati, maestri di legalità, personaggi in cerca dei riflettori che San Luca garantisce a prescindere. Maria Romeo non fa distinzioni nel riassumere i protagonisti della “rapina” mediatica ed emotiva che da decenni, a ridosso di faide e funerali, cattura fotogrammi di storie e non lascia niente. “Non c’è da stupirsi se accogliamo con diffidenza iniziative e progetti. Ne abbiamo viste davvero tante. L’altra faccia di San Luca, invece, non l’ha mai voluta vedere nessuno”.
L’abito di sposa, in un angolo della stanzetta-atelier ricavata nella “casa rosa”, è un clone perfetto di quello indossato da Diana Spencer nel giorno in cui diventò principessa del Galles. Disegnato, tagliato, cucito, rifinito, decorato a San Luca. Come il vestito aderente pensato, quasi certamente, per una serata di gala lontana da lì. I bozzetti alle pareti, dal tratto veloce ed elegante, sono tutti firmati “Maria Romeo”. Ma la “stilista”, un padre ammazzato negli anni Ottanta, alza le spalle e abbassa gli occhi: “Per un po’ ho aiutato mia sorella che è sarta, ma poi mi sono sposata e ho smesso”. Con due figli e “poche scuole” sulle spalle, Maria prova ora a mettersi in gioco, tirando fuori da cassetti e cassettoni lavori finiti e da finire.
Amano le rose, le donne di San Luca. Ne infarciscono i ricami sulla seta e l’organza, dipingendo con il filo giardini raffinatissimi su cui mangiare e dormire. Il diritto identico al rovescio, come solo il vero mestiere riesce a garantire. Ma le mani conoscono anche il tombolo, l’antico telaio, la ginestra, la pasta di mais e ne sanno fare cose gentili. Fiori imprevisti nel famigerato buco nero della Calabria. “Le cose che siamo riuscite a mettere in mostra nella sede del movimento sono solo una piccolissima parte dei tesori che custodiscono le case di San Luca. Molte donne preferiscono tenerli chiusi”. Sindrome da “rapina”.
Solo che a restare chiusi sono stati anche i talenti e i mestieri, ridotti a cose trascurabili, accidenti di nessun conto quando il luogo di nascita stampato sui documenti è la capitale “ideologica” della ‘ndrangheta. Da queste parti lo sanno anche i bambini. “Nelle aule scolastiche di Locri gli studenti di San Luca vengono messi insieme agli ultimi banchi. Lo stesso sui pullman o nelle piazze degli altri paesi. Eppure quando vanno a studiare e lavorare fuori dimostrano spesso grande intelligenza e capacità”. La scommessa è quella di fargliele dimostrare anche prima, a casa propria, e senza finire in cronaca nera.
Maria Romeo ricomincerà da matita, ago e filo. E con lei le sarte, ricamatrici e tessitrici che nella “casa rosa” di piazza Tripodi si stanno convincendo di avere un lavoro tra le dita. Dopo la ludoteca e l’apertura di un consultorio, infatti, il movimento delle donne punta alla realizzazione di una sartoria, pronta a ricevere ordinativi attraverso il sito internet già on line, ma nel rispetto di un sapere secolare. Sarà allora, probabilmente, che il paese si disarmerà del tutto della diffidenza con cui ha salutato il recente movimentismo femminile e la sua artefice, Rosa Canale. “All’inizio molti pensavano che mi avesse mandato qualcuno. Ma poi hanno visto che sono venuta a vivere qui, tra loro, e passo dopo passo la fiducia sta aumentando. So perfettamente che il nostro è un lavoro da fondisti, non da velocisti. Ma di fronte ai primi, piccoli risultati sono convinta che tutto il paese sarà con noi”. (TERZA PARTE)
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