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Memoria e antimafia, a Reggio lezioni di legalità ricordando Falcone

Di Anna Foti il . Calabria, Dai territori

Ci sono cose che non si imparano senza sentirle proprie. Le cose che si sentono  proprie, e che possono renderci migliori, sono quelle che destano indignazione e svegliano le coscienze. Tra queste vi è la memoria in quanto condivisione di un patrimonio di valori che sopravivvono al tempo e alla violenza che avrebbe invano tentato di affossarli. Ecco che la memoria può insegnare e toccare una vita per sempre. L’occasione è quella dell’incontro promosso al Ce.Dir. dal movimento “Ammazzateci tutti” rappresentato da Aldo Pecora e dalla fondazione intitolata al magistrato reggino “Antonino Scopelliti”, ucciso dalla’Ndrangheta nell’agosto del 1991, rappresentata dalla figlia Rosanna. Per ricordare la morte di Giovanni Falcone, il magistrato che sfidò Cosa Nostra, nel giorno del sedicesimo anniversario della strage di Capaci, gli invitati sono gli studenti. Intanto le forze dell’ordine arrestano il capocosca di San Luca, Giuseppe Nirta, uno dei cento latitanti più pericolosi d’Italia.
Esistono, tuttavia, differenti lezioni che la memoria può dispensare, perchè diverso è l’impegno che deve essere richiesto alle diverse generazioni, come evidenziato dal procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Salvatore Boemi. “Non voi, che siete la parte migliore di questa società e che a scuola dovreste imparare la storia del terrorismo mafioso, necessitate di lezioni di legalità ma gli imprenditori che non denunciano”. Un nuovo invito rivolto ai commercianti reggini affinchè, denunciando i tentativi di estorsione, aiutino la migistratura a scardinare il potere che le cosche reggine esercitano sul tessuto produttivo della nostra città. Un invito, dunque, alla responsabilità come unico modo possibile per ricordare Giovanni Falcone a distanza di sedici anni dall’attentato che lo uccise.

Il 23 maggio 1992 la lotta alla mafia subiva un colpo durissimo e l’impegno di Falcone veniva stroncato da cinque quintali di tritolo collocati in un sottopassaggio nei pressi di Capaci, sull’autostrada A2 Palermo – Trapani. Insieme a lui perdevano la vita la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montanari, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Per ricordare questa cruenta e drammatica pagina della storia del nostro paese, ancora vinta e avvinta nel mistero, si è deciso di puntare sul protagonismo dei giovani, anello fondamentale per quella svolta ritenuta necessaria e possibile dal procuratore capo della Dda reggina, Giuseppe Pignatone, e dal questore Santi Giuffrè. A distanza di sedici anni da quella pagina di tragedia e di sconfitta dello Stato, la lotta alla mafia continua ad essere lunga e difficoltosa e impone ai giovani, ha sottolineato Boemi, di schierarsi dopo avere scelto di non contribuire alla desertificazione assoluta della Calabria, dopo avere deciso di restare e di destinare con fatica e sacrificio ad essa i propri talenti e la propria intelligenza. Sul tema del pizzo e della latitanza, questa volta dei cittadini, torna di nuovo il procuratore Boemi per evidenziarne la portata deterrente in relazione ad una qualunque possibilità di cambiamento. E’ lo stesso sindaco Giuseppe Scopelliti a dichiarare che il protocollo “Vedo, sento e parlo” recentemente siglato dall’Amministrazione e da associazioni datoriali non decolla per la mancate denunce dei commercianti. “Reggio necessita di solidità e di solidarietà – afferma il primo cittadino – affinchè si possano accorciare le distanze”. Tuttavia non solo questa necessità può spiegare il perchè a Reggio non si denunci e il perchè i commercianti non si affidino, specie a seguito di un protocollo nel quale direttamente l’Amministarzione si è resa parte attiva.

Una possibile e preoccupante risposta a questi interrogativi arriva dal testimone di giustizia Pino Masciari, imprenditore catanzarese inserito in un programma di protezione, per avere denunciato gli estorsori, e adesso costretto a vivere fuori dalla Calabria con la propria famiglia dal 1997. E’ proprio Masciari a sferrare un duro attacco alle istituzioni laddove afferma che “coloro che denunciano vengono deportati e nascosti affinchè di loro nulla si sappia e nessun altro denunci”. Dichiarazioni pesanti che aprirebbero scenari allarmanti e che si aggiungono alle altre che hanno scandito la testimonianza di Sonia Alfano, figlia del giornalista siciliano Beppe Alfano ucciso nel 1993 da Cosa Nostra per i suoi articoli con verità scomode. La stessa Sonia Alfano invita gli studenti ad un’indignazione coraggiosa contro una mentalità che contamina le piccole cose per arrivare alle grandi. Un intero archivio di raccomandazioni nella regione Sicilia sarebbe stato intercettato e adesso quel cd sarà presentato alla Procura affinchè venga fatta luce circa la sua attendibilità. Così Sonia Alfano testimonia la propria attività costante contro un sistema che ingurgita politici, lobby finanziarie e ogni strato appetibile della società. Ovviamente ogni strato appetibile che sia produttivo e che possa essere sfruttato da un punto di vista economico.

A ribadire che sotto scacco è ogni possibilità di sviluppo e di crescita è il pm antimafia Nicola Gratteri spiato nel suo ufficio in Procura e che chiudendo la mattinata spiega, ripercorrendo alcuni passi già tracciati da Boemi, che essere ‘ndranghetisti non conviene. “Non conviene – ha spiegato Gratteri – perchè il destino è quello di una famiglia distrutta, lacerata da morti, incarcerazioni, latitanze”. Scelte che non consentono di tornare indietro senza rischiare di pagare un prezzo che spazza via tutta la ricchezza economica illecitamente e facilmente accumulata. “La mafia – ha ribadito, offre solo potere economico ma toglie tutto il resto”. Poi un dato: “la vera ricchezza è divisa tra i capomafia e solo il 10%  tra gli altri ‘ndranghetisti”. Poi Gratteri conclude con una denuncia che è vera, stringente, intrascurabile. “La vera indipendenza consiste nel poter operare liberamente una scelta economica”. Dalle nostre parti, consapevolemente o inconsapevolmente, ciò non può avvenire. Contrastare la ‘Ndrangheta significa avere imparato dalla morte di Falcone, senza dimenticare tuttavia di avere dovuto attendere lo scoppio del tritolo affinchè quell’impegno fosse un patrimonio comune. Educare alla memoria e all’impegno salverà le esistenze di quanti continuano a spendersi e vivono ogni giorno, insieme agli agenti della scorta, in situazioni di pericolo.

Si muore quando si è lasciati soli o quando si è entrati in un gioco troppo grande. A dirlo, con la lungimiranza che ha sempre contraddistinto il suo operato, anocra lui Giovanni Falcone, strappato brutalmente alla sua missione dopo avere svelato e sfidato la connivenza tra Politica e Cosa Nostra inducendola al conflitto inevitabile con la legge di uno Stato che non si piega e che non le concede spazi. Si è messo contro di essa e, come sempre accade, ha pagato con la vita. Promotore e realizzatore, sotto la guida di Rocco Chinnici e al fianco di Paolo Borsellino, di un modelllo organizzativo investigativo che dovrà essere smantellato per la sua validità e per la sua efficienza e che gli costerà la mancata nomina da parte del CSM di Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo in luogo di Antonino Caponnetto, succeduto a Rocco Chinnici freddato da Cosa Nostra nel luglio del 1983. L’operato del Pool Antimafia, di cui era componente, confluisce nel Maxiprocesso che, anche grazie alla collaborazione del pentito Tommaso Buscetta, il 16 novembre 1987 arriva a condannare oltre 350 persone, segnando la svolta nella lotta di uno Stato che fino ad allora non era riuscito a dimostrare tanta forza. Una forza che doveva essere neutralizzata. A qualunque costo. Così accade, in un momento in cui la strategia mafiosa si inasprisce al punto da rompere gli equilibri con la politica connivente, al punto da ricorrere all’omicidio nel marzo del 1992 del parlamentare siciliano della DC Salvo Lima per poi stabilire nuove alleanze.

Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana. Quale principio di vita è stato mai lezione più necessaria? Anche a Reggio Calabria sono profonde le orme tracciate da Giovanni Falcone e dall’amico e collega Paolo Borsellino, che lo ha seguito nel drammatico destino il 19 luglio dello stesso anno. Divenuti simbolo di quanti, tanti, eroi civili o semplicemente uomini, hanno pagato con il tributo più alto, la vita, l’essersi spesi per la giustizia e il bene comune, Falcone e Borsellino segnano un punto di non ritorno che può divenire speranza solo per uno Stato e una comunità che accettino l’eredità, se ne facciano carico, se ne sentano responsabili. Tutti siamo chiamati a ricordare e ad agire, poiché anche laddove non si vede o non si sente, c’è chi combatte la mafia nei contesti e nei modi più diversi, chi rischia di non sopravvivere. Allora rimane da chiedersi se i tanti che non sopravvivono, abbiano vissuto, lottato e siano morti invano. E poi sperare che ciascuno, in piena coscienza, si impegni affinché la risposta sia negativa e corale, affinchè quelle idee  e quelle tensioni morali, che in occasioni come questa tutti dimostriamo di condividere, abbiano concretamente nuove gambe per continuare a camminare.  

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