Il sogno infranto della maturanda Atria
«La morte del giudice Falcone ripropone in termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga».
5 giugno 1992. Istituto Alberghiero di Erice. Il tema è quello proposto per la maturità di quell’anno, il testo che segue (una sintesi) è quello presentato dalla candidata Rita Atria, la giovane che al giudice Borsellino svelò alcune conoscenze come carpite dal padre e dal fratello, vittime della faida del Belice. Un mese dopo decise di uccidersi: era il 26 luglio del 1992, sconvolta dal dolore di un’altra strage, quella dove venne ucciso il giudice Borsellino. Così intanto scriveva del giudice Falcone.
“Con lui è morta l’immagine dell’uomo che combatteva con armi lecite contro chi ti colpisce alle spalle, ti pugnala e ne è fiero. Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare… con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre, che sono i più forti, che hanno il potere di uccidere chiunque… scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare. L’unica speranza è non arrendersi mai, la verità vivrà contro tutto e tutti. L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo”.
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