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«Trapani, priorità alla questione mafiosa»

Di Rino Giacalone il . Dai territori

Non si opera su livelli diversi. Combattere la mafia significa anche lottare contro ogni altra forma di crimine. Mafia e sicurezza delle città, per il questore di Trapani Giuseppe Gualtieri, sono da guardare attraverso le stesse lenti. Gualtieri è questore di Trapani, è stato qui catapultato dopo che l’11 aprile del 2006 venne catturato a Montagna dei Cavalli a Corleone il super boss Bernardo Provenzano. Lui era il capo di quella Squadra Mobile che chiuse il cerchio attorno a quello che era considerato da tutti il fantasma, ma che tanto fantasma non era, almeno per quella cerchia di complici e favoreggiatori che si sono presi cura di lui, hanno ubbidito ai suoi ordini, Cosa Nostra è stata in suo pugno, mentre il suo avvocato andava raccontando in giro cose da far capire che il boss era passato a miglior vita. E invece si nutriva di ricatti e cicoria e dei soldi dei grandi appalti.

Gualtieri promosso questore per quella cattura da allora è il numero uno della Polizia a Trapani. Ha migliorato un lavoro già ottimo a proposito di prevenzione e repressione a proposito di mafia e sicurezza delle città.

«Dobbiamo riuscire a continuare ad affermare un principio – dice subito il questore Giuseppe Gualtieri – sicurezza è un concetto globale, la lotta alla mafia è la primaria battaglia che dobbiamo vincere perchè dietro la mafia si nascondono tutta una serie di piccole illegalità e disagi sociali, che sfociano anche nella piccola criminalità, nel vandalismo, nel teppismo. Per cui bisogna iniziare dalla “causa” (mafia) e non dall'”effetto” (criminalità quotidiana)».

È possibile condurre azioni di contrasto simultanee?

«Noi quest’anno a Trapani – risponde -siamo riusciti a curare “causa” ed “effetto”, aumentando in maniera significativa il nostro intervento nelle indagini antimafia, i cui risultati si spanderanno nel tempo, ma abbiamo avuto significativi successi nel contrasto allo spaccio di droga, ai furti, alle rapine. Con un aumento di numeri rispetto alla pochezza di risorse per cui il lavoro delle nostre donne e dei nostri uomini è stato ancora più encomiabile».

C’è chi pensa che una legge possa essere rispettata meno di altre e che debba esserci in questo tolleranza. C’è chi ritiene che si combatte tanto la mafia ma ci si distrae da tutto il resto. Come risponde?

«Non ci può essere progresso e crescita del territorio fuori dal rispetto delle leggi, le leggi vanno rispettate e applicate tutte, da quelle riguardanti le dinamiche degli appalti a quelle sulla città quotidiana di ogni cittadino. Noi siamo presenti su tutti i fronti ma non dimentichiamo mai la “causa” (mafia) per dedicarci agli “effetti” (criminalità ordinaria)».

Concetti fermi, a proposito di lotta alla mafia, alla criminalità, alla gestione dell’ordine pubblico. Il questore Gualtieri parlando del lavoro della Polizia a Trapani non ha dubbi nella sintesi: «Molto vicino ai deboli», giovani e anziani al centro della tutela, i primi che continuamente la Polizia cerca di sottrarre a fenomeni di devianza, spaccio e consumo di droga, che vengono richiamati con una serie di costanti incontri a scuola perchè siano più attenti ai doveri di rispetto della legalità in ogni forma e circostanza, gli anziani che più di altri hanno bisogno di protezione, perchè «vittime» più facili di chi è specializzato nei cosidetti “reati predatori”, furti, rapine, truffe.

«Mai – dice Gualtieri – essere forti con i deboli, sempre essere determinati contro prepotenti ed arroganti».

In un territorio dove mafia, impresa e politica spesso si trovano seduti allo stesso tavolo, non ci vuole molto a capire dove bisogna andare a cercare prepotenti ed arroganti. La «rivolta» di chi fa impresa contro la mafia qui è ancora allo stato embrionale. È nata per volontà di Confindustria e dei sindacati e di una serie di assiciazioni di categoria, l’associazione antiracket, oggi quando nel resto del paese è un traguardo raggiunto più di 10 anni addietro. Ma quando nei giorni scorsi i vertici dell’associazione hanno deciso di presentarsi alla città, di incontrare pubblicamente investigatori come il capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares, la sala è rimasta quasi vuota. Non c’erano nemmeno tutti i componenti del direttivo dell’antiracket, mancano alcuni dei fondatori, non c’erano imprenditori e commercianti, quelli semplici, senza cariche sociali. Il segnale non ha bisogno di voli pindalici per essere interpretato. C’era anche seduto al tavolo dei relatori Ivan Lo Bello il presidente che dentro Confindustria Sicilia ha scritto una pagina importante nella lotta alla mafia.

«Trapani – dice Lo Bello – è una realtà particolare, lo sapevamo e la cosa si conferma anche in questo modo, ma non si torna indietro. Sappiamo che a qualcuno non fa piacere che si parli di mafia e si parli di mafia in questo modo così a Trapani, ne continueremo a parlare, continueremo ad agire perchè pensiamo che questo territorio deve avere altri destini».

Intanto gli scenari di inquinamenti mafiosi resistono. Lo dimostrano i numeri (svelati dal questore Gualtieri) sui sequestri e sulle confische condotte dalla Polizia in quest’ultimo anno. Sono state 34 le proposte di misura di prevenzione con sequestro di beni avanzate dalla Questura in quest’ultimo anno, 42 invece i provvedimenti diventati definitivi. Alcuni intestatari di questi fascicoli sono soggetti che svolgono attività imprenditoriale, sarebbero emersi in combutta con soggetti affiliati o vicini a Cosa Nostra trapanese, quella comandata da Matteo Messina Denaro. In questo scenario che non cambia a proposito di connessioni tra mafia e impresa c’è un altro dato che emerge, un «modus operandi» purtroppo già conosciuto. C’entra ancora il cemento e una azienda sequestrata. La «Vito Mannina»: il titolare Vincenzo Mannina è in carcere in attesa di giudizio, la sua impresa vendendo cemento e forniture per l’edilizia, pare favorita dal capo mafia don Ciccio Pace, uno di quei boss che abitano «a cento passi» dalle abitazioni dei trapanesi spesso dormienti, aveva un volume di affari secondo la perizia della Guardia di Finanza per circa 30 milioni di euro l’anno, da quando è scattato il sequestro qualcosa per le commesse è cominciato a cambiare, in negativo, alcuni clienti si sono fatti indietro e non hanno nemmeno malcelato il loro atteggiamento, sono andati anche a dirlo all’amministratore giudiziario: «Qui il cemento non possiamo più prenderlo». Come accadde tanti anni addietro per la Calcestruzzi Ericina, ex impresa del capo mafia Virga, che dopo il sequestro rischiò il fallimento. E se non fosse stato per l’opera del prefetto Sodano avrebbe chiuso i battenti con lo Stato che avrebbe dimostrato incapacità gravissime se fosse successa una cosa del genere. La Calcestruzzi oggi è risorta, Sodano purtroppo è stato cacciato via da Trapani, “raccomandato dai mafiosi nel trasferimento deliberato dal Governo nel 2003”.

Mafia e imprese. Imprenditori condannati per mafia che non hanno perso nulla. Uno di questi è un certo Tommaso Coppola, valdericino che come nome può non dir nulla, ma nella sentenza che lo ha condannato è scritto che lui era il regista di una serie di appalti pilotati in provincia di Trapani per milioni di euro. Lui è in carcere, fuori però le sue imprese, le sue attività proseguono il lavoro, perchè altri imprenditori si sono fatti carico delle sue esigenze. La catena non si è spezzata.

«L’attacco ai beni controllati dalla mafia- conferma il questore Gualtieri – resta obiettivo principale dell’azione».

«Uso le parole del presidente di Confindustria Sicilia Lo Bello – ha detto il capo della Mobile Linares intervenendo a quel convegno contro il racket mafioso- a proposito dell’esistenza di un’area grigia nel mondo dell’imprenditoria dove mafia e imprese sono molto vicine, credo che sia il momento che gli imprenditori escano da quest’area grigia, se ne dissocino. Noi comunque come ha detto il nostro questore Gualtieri continueremo la nostra azione con o senza protocolli di legalità, con o senza dissociazioni, perchè è anche la parte sana dell’imprenditoria che ce lo chiede».

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