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Basilicata e il coraggio della verità

Di Rosanna Santagata il . Dai territori

La sala è piena. Ancora una volta. Come da un anno a questa parte in tanti vengono per dare una testimonianza di vicinanza a questo prete che nella Basilicata “isola felice” parla di mafia. Suscitando reazioni contrastanti, tra appassionate difese, diffidenza, decise negazioni. E sibillini avvertimenti. Alla fine don Marcello Cozzi, responsabile regionale e componente dell’Ufficio di Presidenza di “Libera, Associazioni nomi e numeri contro le mafie”, ci ha scritto un libro sull’argomento, e il titolo è quasi una strizzata d’occhio a chi si sente disturbato dal parlare di criminalità organizzata in un territorio che ne pareva del tutto immune: “Quando la mafia non esiste. Malaffare e affari della mala in Basilicata”, Ega Editore di Torino. Lo ha presentato il 6 maggio scorso a Potenza.

Sono 460 pagine zeppe di fatti, di nomi, di intrecci, in un quadro criminoso definito con lo scrupolo dello studioso grazie ad atti giudiziari, ma anche a storie mai raccontate, e – come ricorda tra i ringraziamenti d’apertura – ai contributi di anonimi collaboratori e di giornalisti che in sei anni (tanto è durato il lavoro di stesura) lo hanno aiutato, con i loro articoli, nelle ricostruzioni. Pezzi di un puzzle apparentemente sparsi e che invece don Marcello aiuta a “leggere in una logica di sistema” come afferma Francesco Forgione, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa legislatura, che del libro ha scritto la prefazione. Un giornalista tra il pubblico osserva la cosa dal suo peculiare punto di vista: “un testo fondamentale della cronaca ‘nera’ e ‘giudiziaria’ degli ultimi quarant’anni della regione”. Ne viene fuori una Basilicata da tempo crocevia dei loschi traffici delle tre più importanti organizzazioni criminali circostanti (Camorra, Sacra corona unita, ‘Ndrangheta), e successivamente capace di esprimerne una propria, quale quella dei Basilischi, legata ai poteri criminali calabresi e campani. Non congetture, ovviamente, ma sentenze, come ricorda ancora Forgione. Ci sono le storie sanguinose e violente dei clan locali e delle influenze ramificate che su di essi hanno avuto i boss inviati quaggiù in soggiorno obbligato, o i mafiosi ospitati dalle carceri lucane che affiliavano nuovi seguaci, o i criminali che hanno eletto queste zone sconosciute e tranquille a buen retiro da dove continuare a condurre i propri affari lontano da occhi indiscreti.

Ci sono ombre di appoggi a sequestri di persona eclatanti, come quello di Paul Getty III, rilasciato allo svincolo per Lauria. Ci sono storie di “battesimi” mafiosi, e le nuove formule che i basilischi escogitano per fare propri affiliati. E i legami con organizzazioni criminali internazionali. Fino all’inchiesta “Iena 2”. Don Cozzi lo definisce una sorta di spartiacque, con le sue accuse di intrecci tra mafia e politica. Un’inchiesta dopo la quale l’attacco ai giudici si è fatto più violento, arrivando a mettere loro, sul banco degli imputati. In un’intervista Forgione spiega la peculiarit‡ del caso Basilicata e dice: “non tutto Ë riconducibile alla mafia. Ma in questa regione c’è una grande questione morale che attraversa in modo intrecciato il mondo economico, politico, la magistratura, la massoneria. E la borghesia lucana a cavallo tra politica, affari e imprese. Bisogna aver il coraggio di far luce in nome della trasparenza delle istituzioni su queste questioni, soprattutto in una regione dove,proprio perchè così piccola, Ë più forte la pervasività di un livello occulto del potere”.

A chi continua a chiedergli se esiste davvero una mafia in Basilicata, don Marcello risponde con questo libro, di fronte al quale molti rimangono sconcertati: “dov’ero quando queste cose accadevano?”. Un bilancio degli affari più loschi che si sono consumati da queste parti, sia in settori tradizionali della mafia quali droga, sequestri di persona, usura, gioco d’azzardo, sia in quelli più moderni: prostituzione e tratta, gestione dei rifiuti compresi quelli radioattivi. Certo, dice don Cozzi, “da noi non c’Ë l’humus di cui si giova la mafia siciliana, nË il controllo militare di quella calabrese o campana. Ma in un senso moderno ed evoluto del fenomeno, come parte di un sistema criminale e affaristico più complesso direi senz’altro che la mafia esiste anche qui”.

Alla serata di presentazione erano in tanti. Magistrati, forze dell’ordine, suore e preti. Gente comune. C’erano i familiari di Elisa Claps e Luca Orioli, giovani strappati ai loro affetti nel fiore dell’età e che sono diventati il simbolo di una Basilicata che ha da tempo perso la sua “verginità”. In cui si puÚ sparire nel nulla, come Elisa, in una tiepida mattina di settembre all’ora dello “struscio” domenicale; in cui un giovane come Luca e la sua fidanzata Marirosa possono essere ritrovati cadaveri nel bagno, con vistose ferite e segni di annegamento (come attesta il criminologo Francesco Bruno in un parere ‘pro veritate’ chiesto dalla famiglia) e la causa della morte essere attribuita invece ad ‘incidente domestico’, al malfunzionamento d’uno scaldobagno. Casi che si affiancano ad una lunga scia di omicidi irrisolti e che sono “la prova dell’esistenza, in questa regione, di un grumo di potere – spiega don Cozzi -. Questi ‘misteri’ sono rimasti tali per una volontà criminale che si è servita di incompetenza e superficialità, in un quadro in cui i contorni dell’una e delle altre sono difficilmente distinguibili. E’questo il vero filo conduttore”.

In platea anche Federica Sciarelli, giornalista e conduttrice della trasmissione di Rai3 ‘Chi l’ha visto’. Non era attesa, Ë venuta per fare una sorpresa all’amico Marcello. Sale anche lei sul palco per un saluto e strappa un sorriso amaro quando confessa che da quando conosce questo prete potentino e si occupa della Basilicata le piovono addosso tegole giudiziarie e diffide perfino preventive da tutte le parti. E ancora c’erano Forgione, e Maurizio Torrealta, vice-caporedattore di RAINews 24. Che dice “non Ë un libro da leggere, ma da studiare”. E don Luigi Ciotti. La platea segue la sua oratoria senza perdersi una virgola, applaude. Ricordando Don Peppino Diana, giovane prete assassinato dalla camorra dice: “aveva scritto un libro, don Peppino, nel titolo riprendeva un verso del profeta Isaia ‘Per amore del mio popolo'” Poi si rivolge a don Marcello che gli siede accanto: “ecco il senso del libro che hai avuto il coraggio di scrivere”. Un libro che è “ricerca della verità e atto d’amore”. Certo “scomodo, ma trasparente, in cui non c’è leggerezza ed esibizionismo ma onesta preoccupazione”. Un libro che rompe il silenzio, la nuova arma, sottolinea il fondatore del gruppo Abele, che la mafia usa per uccidere chi le pesta i piedi.

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