Caso Rostagno: si va avanti, verità vicina
I sei mesi di proroga nelle indagini sono scaduti proprio ieri, 15 maggio 2008. Ma stavolta dalla Procura antimafia di Palermo non è partita all’indirizzo del gip alcuna richiesta di archiviazione. Il «caso» Rostagno, il delitto che risale al 26 settembre di 20 anni addietro, si avvia verso un ordine di arresto. È nell’aria, da quando si è saputo che una perizia balistica eseguita dal gabinetto di Polizia scientifica, con una apparecchiatura mai prima usata, ha fatto risaltare la firma di Cosa Nostra su quei bossoli trovati quella sera di settembre in quel crocevia di campagna a Lenzi, appena sotto Erice, tra Trapani e Valderice, a pochi metri dall’ngresso della comunità Saman, e dove Mauro Rostagno fu ucciso.
«Ci sono notizie ma non sono ostensibili» si è limitato a confermare il sostituto procuratore della Dda di Palermo Antonio Ingroia alla richiesta di informazioni sullo stato dell’indagine che coordina l’inchiesta che adesso è finita trattata dalla squadra Mobile di Trapani. «Probabilmente – ha aggiunto – sarà necessaria un’altra richiesta di proroga», ma come passaggio tecnico “per mettere a posto le carte”. Ma insomma una parte dell’indagine sembra essere giunta alla «resa dei conti». Indagato non è più il solo Vincenzo Virga, il riconosciuto capo mafia di Trapani, sotto inchiesta sarebbero finiti altri soggetti. A cominciare dal «presunto» armiere della cosca trapanese. Gli investigatori si sono fatti una idea su chi possa essere. Ma nessuna indiscrezione tradisce il nome.
L’indagine si sviluppa sul contesto di quel 1988, altre inchieste, altri processi rassegnano la ricostruzione su quel periodo, ed oggi sempre di più il delitto Rostagno appare quasi come un omicidio “preventivo”. Mauro Rostagno venne ucciso in un periodo in cui Cosa Nostra in Sicilia teneva la testa ben alta, spavalda, nel trapanese poi c’erano i nascondigli che accoglievano gli uomini più importanti della mafia siciliana, a cominciare da Totò Riina, a Trapani poi in quel 1988 c’erano grandi mutazioni in corso, mafia, politica e imprenditoria cominciavano ad attuare altre strategie, nasceva il «tavolino» di spartizione del potere politico e degli appalti, libero di circolare era il super boss di Mazara Mariano Agate, l’uomo che da solo incarna i poteri mafioso e della massoneria deviata. Immaginate per un attimo cosa significava per tutta una serie di soggetti quella voce che ogni giorno da Rtc raccontava i misfatti locali.
Qualcuno può avere pensato che se Rostagno fosse venuto a conoscenza di alcuni intrighi li avrebbe denunciati pubblicamente. Lui che anche con poco in mano continuamente tempestava di accuse Agate e inoltre si preparava a candidarsi al Consiglio comunale. All’epoca i gruppi di fuoco della mafia non erano certo disarmati e non erano messi da parte, si pensa che c’è voluto poco ad attrezzarli, e sebbene 14 giorni prima ancora a Trapani era stato ucciso un giudice in pensione, Alberto Giacomelli, (perchè come raccontò il pentito Milazzo da Palermo era giunto l’ordine di ammazzare un giudice, uno qualsiasi) quel 26 settembre i sicari poterono preparare l’agguato senza problemi, all’epoca il controllo del territorio «era cosa loro» e quell’incantatore di folle che era Mauro Rostagno non doveva restare un giorno in più in vita.
Il movente mafioso è la pista che chi indaga sta battendo, ma la sensazione è che non fu solo mafia. Ci furono “interessi convergenti”. Agli atti dell’indagine c’è la testimonianza di una donna “collaboratrice” di Rostagno: si stava a interessando alle vicende della loggia coperta Iside 2 e qualcuno lo avvicinò consigliandolo di lasciar perdere la sua inchiesta sulla loggia massonica Scontrino. Nello stesso periodo di tempo Mauro; si stava occupando pure di una matrice sul delitto del giudice Ciaccio Montalto, risultato di un’alleanza tra la mafia trapanese e quella catanese, Mariano Agate e Nitto Santapaola.
La provincia trapanese di Cosa nostra rimane al centro di misteriosi intrecci che ne fanno un modello criminale unico, non è crocevia solo dei traffici di droga e armi, ma anche territorio dove la mafia si è attorniata di una zona grigia che ha contribuito alla sua “sommersione”. Mafia e impresa qui sono diventati una stessa cosa, la regia è del super latitante Matteo Messina Denaro. La storia di Rostagno sembra essere quella di Peppino Impastato, incredibili sono alcune coincidenze, il contesto poi sembra quello di oggi, con i giornalisti e l’infomazione che in Sicilia restano a rischio, come era a Cinisi nel 1978 e a Trapani nel 1988, gli anni dei delitti di Impastato e Rostagno, con giornalisti che oggi lavorano come lavoravano Impastato, Rostagno che furono riconosciuti «professionisti» solo dopo la loro morte (destino che toccò anche al messinese Beppe Alfano ucciso nel 1993).
A Trapani ma in generale in Sicilia, ci sono oggi giornalisti che sanno bene cosa accade ma non tutti operano di conseguenza, c’è chi preferisce «nascondere» i fatti toccando un livello civile davvero basso, per giunta rendendosi conto che questo comportamento finisce con l’additare chi opera in modo opposto, come dimostra ciò che ogni giorno accade a quei colleghi che scrivono sotto scorta.
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