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3. Le mani dei Mazzarroti su estorsioni e subappalti

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

Quando ancora Tindaro Calabrese era  ufficialmente solo un uomo di fiducia di Bisognano che per suo conto, nelle montagne fra Mazzarrà e Novara di Sicilia, accudiva bestiame d’allevamento un  campo di rose entrava nel mirino delle mafie del longano poiché confinante con la discarica di Tripi e Mazzarrà San’Andrea. Scrive il Gip Sicuro “ Il  Comune di Mazzarrà allo scopo di allargare la discarica avrebbe dovuto acquisire attraverso la procedura espropriativa, determinati terreni. Di fatto quest’acquisizione è avvenuta per cessione bonarie dei proprietari che si sono rivelate particolarmente lucrose per i precedenti proprietari dei fondi”. A gestire la società che si sarebbe occupata della discarica, la Tirreno Ambiente, Michele Rotella (scarcerato dopo udienza del riesame ma ancora indagato)  che aveva intessuto una vera e propria ragnatela finanziaria in grado,  fra cessioni consenzienti e lucrose e atti di forza contro gli imprenditori che non intendevano piegarsi al sopruso (anche furti e danneggiamenti del terreno sino ad incendi di capannoni a Terme Vigliatore) di mettere in ginocchio l’intero comprensorio di Sant’Andrea.

 

Tindaro Calabrese, nel frattempo divenuto socio in affari di Carmelo Trifirò,  nipote di Giuseppe Trifirò detto “Carabedda” a capo della ‘ndrina di Terme Vigliatore negli anni ‘90 (transitato nel gruppo di Chiofalo nel 1989) grazie all’ azienda di trasporto cementi e inerti aveva fiutato alcuni affari della zona e complice la distanza del vecchio boss aveva dato il via ad una scalata tutta interna al clan, formando nuove alleanze e regole per le estorsioni. Il clan, prestava particolare attenzione a tutto l’indotto relativo alla gestione delle discariche di Mazzarrà S. Andrea e Tripi, dove convergono i rifiuti solidi urbani e speciali dell’intera provincia di Messina. E’ stato accertato che le forniture e il movimento terra per la copertura dei rifiuti erano affidate da oltre un decennio ad imprenditori legati prima a Carmelo Bisognano, poi a Tindaro Calabrese.

 

Ma l’affaire andava ben oltre la sola gestione della discarica. Sotto il controllo dei mazzaroti c’erano: il ripristino della galleria Valdina sulla tratta ferroviaria ed autostradale Messina – Palermo, la metanizzazione e la messa in opera di fibre ottiche in vari comuni peloritani. Il meccanismo per queste diverse aree d’interesse della cosca erano routine: la cosca decideva gli imprenditori che avrebbero vinto l’appalto quando non aveva deciso, taglieggiava; la cosca imponeva poi le ditte dalle quali rifornirsi per i materiali e il trasporto, ovvero imprenditori vicini. Si era creata inoltre una gestione monopolistica dello smaltimento dei rifiuti speciali derivanti dalla lavorazione degli agrumi, il cosiddetto “pastazzo”; i “mazzarroti” incassavano i soldi erogati per lo smaltimento per poi gettare altrove i rifiuti o, in alternativa, rivenderli spacciandoli per fertilizzante.

 

TIRRENO AMBIENTE  SOTTO INCHIESTA.   Fra vivai mai nati, boss in carriera, equilibri rotti e subappalti imposti, il cerchio dell’inchiesta si allarga sino ad includere anche la posizione giudiziaria dei vertici della società mista a capitale pubblico “Tirreno Ambiente”, gestore della discarica in mano ai Mazzarroti.  Sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa il presidente Nello Giambò, ex-sindaco di Mazzarrà, l’amministratore delegato Giuseppino “Pino”, i titolari dell’inchiesta nella procura peloritana ne avevano anche chiesto l’arresto, negato poi dal Gip Sicuro.

 

L‘abitazione dell’ex sindaco risulta  tra le 27 case che all’alba di giovedì scorso, 10 aprile, sono state sottoposte a perquisizione domiciliare. Della “Tirreno Ambiente”, oltre ai soci privati, fanno parte  la piemontese “Cavaglià” e la società umbra “Gesenu” (gestore tra l’altro dei servizi dell’Ato Me2), sono azionisti anche i comuni di Mazzarrà e di Tripi. Di recente anche il comune di Montalbano Elicona all’unanimità ha aderito alla società mista, con l’ipotesi di acquisto di quote azionarie che verrebbero cedute dal comune di Mazzarrà.  Per  la “Tirreno Ambiente” potrebbe ipotizzarsi, come già avvenuto per “MessinaAmbiente”, la nomina da parte della magistratura di un amministratore giudiziario. Secondo i particolari che emergono dall’ordinanza di custodia cautelare infatti Michele Rotella scarcerato dopo l’udienza del Tribunale del Riesame (Tirreno Ambiente)  grazie all’appoggio di Sebastiano “Nello” Giambò (l’ex sindaco) era riuscito ad ottenere nella discarica di Mazzarrà Sant’Andrea un lavoro analogo a quello precedentemente effettuato dalla ditta di un prestanome del boss Bisognano.

 

Dopo la sequenza di atti intimidatori dell’estate del 2003 e il rientro della ditta Truscello  comunque affiancata a Rotella, l’arresto di Bisognano ha risolto gran parte dei problemi. La successiva “alleanza” di Rotella con il Calabrese e con gli altri soggetti a lui vicini ha provocato la definitiva estromissione dei congiunti di Bisognano e, con ogni probabilità, la rottura con Antonino Rottino,   uomo di troppo nella faida in corso tra i fedelissimi di Bisognano (come Enzo Martì, ex di Tirreno Ambiente scappato dalla Sicilia e arrestato nell’ambito dell’operazione Vivaio dai carabinieri di Ancona) e gli affiliati del gruppo “scissionista”, capeggiato da Tindaro Calabrese.

 

 SCACCO MATTO AL BOSS. Da tempo, il trentaquatrenne novarese aveva iniziato a disattendere i comandi che arrivavano dal carcere dell’Aquila dov’era  rinchiuso il boss Carmelo Bisognano, un tempo leader incontrastato e ad architettare nuove alleanze, imponendo estorsioni contro imprenditori che non accettavano di rifornirsi dalle ditte sotto la sua protezione. Non ultimo aveva cercato e trovato, tramite Alfio Giuseppe Castro, alleanza e sostegno dalla mafia del clan Santapaola di Catania, grazie al quale avrebbe esercitato pressioni su imprenditori catanesi coinvolti nei lavori di consolidamento della tratta ferroviaria dell’A20, in contrada Cianina di Valdina. Stavano nettamente cambiando gli equilibri dentro la storica famiglia della zona tanto che il presunto boss era ritenuto dai fedelissimi di Bisognano una deriva della nuova generazione cresciuta “senza più i codici di un tempo”.

 

Ed è proprio la sorella di Bisognano, intercettata a colloquio con il fratello in  carcere, a dipingere il carismatico Calabrese come un ingrato che “andava in giro ostentando un anello, rappresentante la simbologia mafiosa del capo (una testa di leone con incastonate pietre preziose di colore rosso, al posto degli occhi e della lingua).  Come emerso dalle indagini erano di sua competenza anche protezioni e favori ad imprenditori della città di  Barcellona pozzo di Gotto, per loro aveva fatto da intermediario con alcuni catanesi che avevano rubato macchinari alle imprese del Longano. Per chi conosce le delicate vicende che attraversano Barcellona pozzo di Gotto, città impenetrabile e compatta, non sfuggirà un dato: l’avere un ruolo fiduciario in una zona di frontiera come la città del Longano equivale ad aver raggiunto un posto di primo piano nel clan anche rispetto a Cosa nostra, poiché le due cose sono una cosa sola per la Sicilia Orientale. Dietro l’ascesa del boss anche un omicidio.

 

Nell’ordinanza i Ros affermano infatti che l’omicidio di Antonio Rottino, ucciso in piena estate, il 22 agosto del 2006  a Mazzarrà Sant’Andrea,  sarebbe da ricondurre agli equilibri saltati. Rottino era diventato dal 2003 il referente in loco di Carmelo Bisognano, una sorta di luogotenente di troppo per il progetto sovversivo di Calabrese, un uomo morto. Secondo gli investigatori mandante dell’omicidio Rottino sarebbe stato proprio il nuovo boss di San Marco di Novara di Sicilia, a confermarlo anche le dichiarazioni della sorella di Bisognano. (CONTINUA)

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