2. Operazione Vivaio: quando la mafia scende dalle montagne
Metti una serie di affari incasellati nella triangolazione, Mazzarà Sant’Andrea, Barcellona pozzo di Gotto, Novara di Sicilia, tre paesi dell’entroterra messinese. Metti nuovi equilibri mafiosi che si misurano soprattutto nella gestione di discariche site tra i comuni di Tripi e Mazzara Sant’Andrea e nella gestione dei subappalti, anche di appalti pubblici. Metti infine, una successione, o meglio una scissione, interna alla famiglia dei mazzarroti, che da anni controlla, (dopo la retata della Mare nostrum) la zona un tempo teatro delle lotte intestine fra la famiglia dei barcellonesi e il clan capitanato da Pino Chiofalo. Il risultato, frutto di lunghe intercettazioni ambientali durante 3 anni, è l’operazione Vivaio scattata all’alba del 10 aprile scorso in provincia di Messina.
L’accusa per 15 indagati (ai quali si aggiungono 30 indagati a piede libero e 3 scarcerazioni dopo l’udienza presso il tribunale del riesame) è di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni, danneggiamenti, detenzione illegale di armi. Sono stati i Ros dei carabinieri ad arginare e smantellare la nuova cosca emergente dentro il clan di Mazzarà, un tempo guidato dal boss Carmelo Bisognano condannato nel processo Icaro (affiliato al clan di Chiofalo dalla fine del 1991) e dal 2003 rinchiuso nel carcere dell’Aquila. A Barcellona fra l’ottantasei e l’ottantotto la guerra di mafia più sanguinosa della provincia ha coinvolto la Famiglia Chiofalo e la Famiglia Milone: i primi della vicina Terme Vigliatore e dissidenti; i secondi, (Beneduci, Ofria, Marchetta) barcellonesi in linea con la Famiglia Santapaola di Catania. La lotta fece in tre anni 39 morti e 45 feriti gravi e terminò con l’arresto dello stesso Chiofalo, dal 1992 pentito attendibile, che con i suoi racconti ha ricostruito la storia degli equilibri mafiosi della zona. Il quadro successivo alla sentenza Mare nostrum è una frammentazione del clan in aree di influenza simile al controllo esercitato da organizzazioni mafiose come la camorra in Campania. Gli uomini di Mazzarà e le famiglie di Barcellona in questi anni avevano regolarmente continuato a farsi impresa e controllare il territorio.
Nonostante l’arresto di Bisognano i comandi giungevano in paese e gli “uomini d’onore” eseguivano. Subappalti, discariche abusive, terreni destinati a coltivazioni di fiori poi diventate occasione per business locali e persino un nuovo capo, Tindaro Calabrese, 34 anni, ex allevatore proveniente da S. Marco di Novara di Sicilia, socio in affari di Salvatore Carmelo Trifirò, proprietario di una ditta di movimento terra e trasporti su camion, sino a qualche anno fa uomo di fiducia dello stesso Carmelo Bisognano. Il fascino del potere mina alleanze e giuramenti e anche i vecchi vincoli gerarchici di Cosa nostra, nella nuova mafia, possono saltare per gli affari.
Tindaro Calabrese, stava tentando infatti, la scalata al vertice del clan filo barcellonese; Bisognano non perdonerà. E forse per Calabrese il carcere è in questo periodo il luogo più sicuro. I Ros della provincia che seguivano e intercettavano i boss da qualche anno, fra summit e attentati intimidatori hanno portato alla luce le dinamiche di questa scissione interna al clan nella quale nuove alleanze e giovani emergenti stavano per mettere da parte la vecchia mafia. (CONTINUA…)
Trackback dal tuo sito.