Reggio, in procura il morbo palermitano. E la ‘ndrangheta va verso la terza guerra
Un copione già letto: le talpe e i corvi, le guerre di mafia e le lotte massoniche, veleni tra toghe e coperture politiche. Alla procura di Reggio Calabria impazza la febbre palermitana: tutto come all’epoca del porto delle nebbie, delegittimazioni, fughe di notizie, grilli parlanti e omicidi eccellenti. Tutto come all’epoca di Falcone e Borsellino e alle successive fasi del pool antimafia. Anche i protagonisti sono gli stessi: in riva allo Stretto è appena arrivato Giuseppe Pignatone, fedelissimo di Piero Grasso, che ritrova il suo braccio destro Renato Cortese, a capo della mobile reggina. Mentre sull’altra sponda, nella Dda di Messina c’è un altro grassiano, Guido Lo Forte. Per qualche tempo si è aggirato a Gioia Tauro anche Mario Mori – ex capo degli 007 del Sisde appena rinviato a giudizio per la mancata cattura di Bernardo Provenzano – con il ruolo di commissario straordinario per la sicurezza del porto di Gioia Tauro.
La cimice e la talpa. L’arrivo di Pignatone è preceduto da una scia di polemiche. Segno che la ultradecennale frattura della procura reggina non è mai stata sanata, anzi. C’è chi scrive che parecchi pm abbiamo accolto freddamente il neo procuratore generale. Voce smentita addirittura con un comunicato stampa. Ma per Pignatone una grossa sorpresa: la sua nuova stanza è stata violata prima del suo arrivo. Subito l’ordine di sostituire le serrature e avviare una bonifica. Ecco che spunta fuori una cimice in un ufficio utilizzato dal sostituto Nicola Gratteri (titolare delle indagini su Duisburg) per le conversazioni riservate. Un apparecchio da pochi euro, disponibile in tutti i negozi specializzati, con un raggio d’azione di venti metri.
Caccia allo spione. Probabilmente non si saprà mai chi ha ordinato e chi ha piazzato quella cimice. I principali organi di stampa puntano l’indice su un magistrato. La lista non è lunghissima. A far parte della procura di Reggio Calabria, sono in 25, più l’appena arrivato Pignatone. Si tratta di: Francesco Scuderi (ex pg facente funzioni), Salvatore Boemi (attuale capo della Dda, in via di trasferimento dopo lo stop subito nella corsa alla carica di pg di Reggio), Francesco Mollace, Francesco Tripodi, Nicola Gratteri, Santi Cutroneo, Danilo Riva, Roberto Placido Di Palma, Giuseppe Bianco, Adriana Fimiani, Mario Andrigo, Marco Colamonici, Giuseppe Lombardo, Domenico Galletta, Gabriella Cama, Enrico Riccioni, Antonio De Bernardo, Giuseppe Bontempo, Giovanni Musarò, Carmela Squicciarini, Beatrice Ronchi, Federico Perrone Capano, Sara Ombra, Maria Luisa Miranda, Annalisa Arena. Chi è la talpa?
Il corvo. Si firma proprio così, il corvo, l’autore di una serie di lettere anonime che gettano fango su alcuni magistrati: Luigi De Magistris, lo stesso Gratteri, l’aggiunto Franco Scuderi, reo di aver inviato al Csm e alla Cassazione una segnalazione sulle anomalie dei pm Franco Mollace e Salvo Boemi nella gestione del caso De Gregorio (il senatore avrebbe agevolato affari immobiliari in favore di cosche reggine). Un’inchiesta segretissima (e non segnalata a Scuderi) finita sulle pagine dei giornali (CalabriaOra e tre quotidiani nazionali) insieme all’indagine sul presunto voto di scambio con protagonista il senatore Marcello dell’Utri. Il corvo spara anche su Gratteri: secondo la fonte anonima, avrebbe pilotato gli appalti per le intercettazioni a imprese amiche. È lo stesso Gratteri a smentire: qui si paga il compenso più basso (16 euro al giorno) di tutt’Italia.
Il direttore. Il controverso direttore del quotidiano CalabriaOra risulterebbe coinvolto nell’inchiesta sulla malasanità che ha portato all’arresto del consigliere regionale Domenico Crea, il politico subentrato a Franco Fortugno dopo la sua uccisione. Per Paolo Pollichieni è un bis: già arrestato, processato e assolto in un’inchiesta su appalti sanitari. La figura del giornalista si lega alla vicenda toghe reggine: dalle intercettazioni sull’utenza telefonica del cronista locrese emerge uno strettissimo rapporto con il pm della Dda Francesco Mollace. L’iscrizione nel registro degli indagati del senatore è finita in tempo reale (Pollichieni è coinvolto anche nelle indagini sulla fuga di notizie relativa alla vicenda) sulle pagine del quotidiano edito da un gruppo di imprenditori cosentini (Fausto Acquino e Piero Citrigno, quest’ultimo a processo per usura nella città bruzia, tra l’altro acquirente della storica testata “Paese Sera” e in procinto di subentrare nella gestione dell’Istituto Papa Giovanni XXIII, una struttura sanitaria che da sola assorbe la metà del bilancio sanitario della Regione Calabria). I cronisti di CalabriaOra, inoltre, sono stati indagati più volte per violazione del segreto d’ufficio. Ecco perchè la talpa, secondo gli inquirenti, potrebbe essere proprio un magistrato.
Le Indagini. Il Consiglio superiore della magistratura ha deciso di intervenire direttamente sulla vicenda Reggio, aprendo un fascicolo e ordinando una visita sullo Stretto. Il caso talpa passa per competenza a Catanzaro. Un’altra procura, quella del capoluogo calabrese, profondamente spaccata (vicenda De Magistris, trasferimento dell’ex pg Mariano Lombardi) e in attesa della nomina del nuovo procuratore generale (è in corsa anche Boemi, ma il Csm è spaccato).
I Piromalli. La storica cosca di Gioia Tauro sembra nell’occhio del ciclone. L’omicidio di Rocco Molè – presunto boss della cosca Molè, legata da vincoli di sangue ai Piromalli, ucciso l’11 febbraio a Gioia Tauro – ha aperto uno squarcio nell’alleanza delle ‘ndrine tirreniche (altri fedelissimi, fino ad oggi, sono stati i Pesce di Rosarno e i Mancuso del Vibonese). L’autobomba che ha colpito Antonino Princi, imprenditore in odore di mafia legato ai Piromalli, ha aperto la voragine. Lo scioglimento del consiglio comunale di Gioia Tauro per infiltrazioni mafiose e le indagini su Dell’Utri riportano ancora l’attenzione sui Piromalli.
Come nell’85. Non è la prima volta che viene utilizzata un’autobomba in Calabria. A farne le spese per primo è stato l’imprenditore Gennaro Musella, nei primi anni 80. Ma l’autobomba celebre è quella che ha segnato l’inizio della seconda guerra di ‘ndrangheta: anche in quel caso il bersaglio, Nino Imerti, non morì. Creparono in migliaia nei sei anni successivi. Antonino Princi – privato di gambe, braccia e vista dalla deflagrazione del 26 aprile scorso – è un manager a capo di un impero economico nella Piana, con interessi nei centri commerciali. Uno dei principali, il “Porto degli Ulivi”, si trova a Rizziconi, nell’entroterra, ed è partecipato da Pasquale Inzitari, esponente di primo piano dell’ Udc calabrese (candidato al Parlamento alle scorse elezioni) e cognato di Princi. Il faccendiere (secondo gli inquirenti avrebbe coordinato le attività di riciclaggio delle cosche dell’entroterra aspromontano) è stato anche azionista del Catanzaro Calcio, prima del fallimento del 2006.
Parente di boss. Per farlo fuori hanno utilizzato una bomba piazzata sotto la sua Mercedes (Gioia Tauro è una delle zone d’Italia a più alta concentrazione di auto di lusso) e attivata con un radiocomando. A colpire sono le parentele eccellenti: i Rugolo di Oppido-Castellace per parte di moglie, e quindi i Mammoliti, tutti alleati degli Alvaro di Sinopoli. Secondo la Dda, l’omicidio potrebbe essere una risposta alla morte di Molè. Un’alleanza basata sugli affari (porto di Gioia, A3, rigassificatore, grandi opere) quella tra Piromalli e Molè che potrebbe essere saltata, forse proprio per via di contrasti sulle infiltrazioni dello scalo marittimo di Gioia, snodo di ingenti risorse nei prossimi anni. Mentre ad avercela con Princi potrebbero essere anche i Crea di Rizziconi. In ogni caso è in atto un terremoto che ha distrutto gli antichi equilibri.
Indagini al rallentatore. La Dda di Reggio stava per arrestare Princi, con l’accusa di concorso esterno e riciclaggio. Una richiesta, maturata dopo l’agguato a Molè, ferma da due mesi negli uffici del gip. Indagini difficili, affidate al procuratore aggiunto di Palmi, Bruno Giordano, e al pm dell’ antimafia reggina Roberto Di Palma, con la supervisione di Roberto Pennisi (Dna).
Scioglimento sul filo di lana. Appena qualche giorno prima dell’attentato a Princi, e a poche ore dall’uscita di scena del governo Prodi, il consiglio dei ministri ha decretato lo scioglimento del comune di Gioia Tauro. Infiltrazioni mafiose, ovviamente, che vedrebbero l’ex sindaco Giorgio Dal Torrione in qualche modo in balia delle cosche locali. Ma la decisione irrituale potrebbe aver accelerato la reazione armata sulla Piana.
I Piromalli e Dell’Utri. E alla vigilia del voto alle politiche la stampa ha dato notizia delle indagini sul presunto voto di scambio che vedrebbe coinvolti un faccendiere ex dc, Aldo Miccichè, e il senatore Marcello Dell’Utri. Cinquantamila voti all’estero che i Piromalli avrebbero promesso, con il tramite di Miccichè. In cambio di favori (il capobastone Giuseppe è in regime di 41bis).
Il fronte in procura. La spaccatura sul fronte ‘ndranghetistico della Piana segue al terremoto reggino (con le nuove alleanze e il recente arresto del Supremo, il boss Pasquale Condello) e a quello della Locride (con la cattura del mammasantissima Giuseppe Morabito, l’omicidio Fortugno, la faida di San Luca e la strage di Duisburg). Uno tsunami che fa presagire una terza guerra di ‘ndrangheta, un conflitto guerreggiato, dopo anni di guerra fredda. Sulla stessa spaccatura sembra si inseriscano gli scontri tra toghe. La talpa e il corvo, forse, ci dicono questo: la guerra di ‘ndrangheta si fa anche in procura.
Trackback dal tuo sito.