L’amato bene
L’AMATO BENE
L’idea di aggredire i patrimoni
illecitamenti acquistiti dalla criminalità organizzata, costata la
vita oltre un quarto di secolo fa a Pio La Torre, solo dopo una lunga
scia di sangue diventa legge nel 1982. In seguito, grazie anche all’impegno
di “Libera”, si arriva alla legge 109 del 7 marzo 1996, che
prevede il riutilizzo sociale dei beni confiscati.
Al 31 dicembre 2007 i beni
immobili confiscati (terreni, appartamenti, fabbricati), sull’intero
territorio nazionale sono circa 8.000. L’83% si trova nelle quattro
regioni meridionali, con una netta prevalenza della Sicilia (45%), mentre
Campania e Calabria si attestano sul 15% e la Puglia al 7; il restante
17% è poi concentrato soprattutto in Lombardia e nel Lazio. Di questi
beni, però, l’Agenzia del Demanio – diretta da Elisabetta Spitz,
consorte dell’ex segretario Udc e neo PD, Marco Follini – ne ha destinati
a riutilizzo solo 4205, poco più della metà. Un po’ meglio con i
beni aziendali confiscati: sono 987, di cui 730 già destinati e 257
ancora gestiti dall’Agenzia. In questo caso le regioni al vertice
sono Sicilia, Campania e Lombardia.
Nella sua ultima relazione
la Commissione Antimafia auspica la realizzazione di una nuova struttura
nazionale alla quale trasferire i compiti di tutela, promozione e destinazione
di questi patrimoni. I dati provenienti dal ministero della Giustizia
e forniti dall’Antimafia testimoniano che su meno del 15% dei beni
il procedimento ottiene frutti concreti e che negli scorsi anni i provvedimenti
patrimoniali sono calati in maniera consistente. Nell’ultimo triennio,
addirittura, ben 65 tribunali non hanno instaurato alcun procedimento
di prevenzione e si è registrato un sensibile rallentamento nella concreta
gestione di somme, imprese e immobili confiscati.
A Palermo è localizzato all’incirca
il 40 per cento dei beni da destinare, seguono Reggio Calabria, Napoli
e Caserta. Qui su 377 beni solo 193 risultano destinati e appena una
trentina utilizzati. Vediamo qualche vicenda emblematica.
IL CASO DI MURO
A Santa Maria Capua Vetere,
nel casertano, tre fabbricati – fra cui lo storico Palazzo Teti con
importanti reperti archeologici – un terreno annesso e quattro appartamenti
assegnati al comune quasi 12 anni fa, dopo la confisca definitiva del
’96, restano ancora oggi inutilizzati e sono al centro di un
clamoroso conflitto d’interessi. Sottratti al patrimonio di diverse
società, risultano – secondo l’ottava sezione penale della
Corte di Appello di Napoli – tutti riconducibili all’ex vice sindaco
e ras della vecchia Dc locale Nicola Di Muro. Da due legislature è
però presente al Comune (prima tra i banchi dell’opposizione poi,
da alcuni mesi, in quelli della maggioranza, rivestendo proprio il ruolo
di assessore con delega alle politiche sociali), Biagio Di Muro, figlio
di Nicola. Se e quando quel municipio deciderà di avviare un
qualsiasi progetto di “uso sociale dei beni”, sarà proprio Di Muro
junior a doverne decidere la destinazione!
Per rimanere in zona, a Casal
Di Principe – nel cuore del regno dei Casalesi – opera un consorzio
di comuni, Agrorinasce, guidato dalla prefettura, in prima fila il ministero
delle Attività Produttive. «Eppure qui – dicono in zona – ci sono
beni confiscati ancora illegittimamente occupati dai vecchi proprietari,
nonostante presenze così illustri a livello istituzionale…». Si
tratta di una villa (in via Parroco Gagliardi) e di due terreni sottratti
definitivamente nel febbraio del 2001 a Vincenzo Apicella ed ora gestiti
dall’Agenzia del Demanio: beni che Apicella, però, insieme al suo
nucleo familiare, continua tranquillamente ad utilizzare. Cosa fa, allora,
la solerte Agenzia capitanata da lady Spitz-Follini? Pensa bene di quantificare,
sino al luglio del 2007, l’ammontare delle indennità di occupazione
illegittima dei locali: la bellezza di 11.000 euro. Per la serie, i
diritti-doveri dello Stato in saldo… .
Nella sua relazione conclusiva
consegnata il 20 febbraio scorso, l’Antimafia indica come «nonostante
i grossi colpi inflitti ai clan, il territorio casertano resti sotto
il controllo della criminalità organizzata grazie alla propria capacità
di mimetizzarsi nel tessuto sociale e di interloquire con l’imprenditoria
e le istituzioni ampiamente condizionabili in occasioni delle elezioni
amministrative».
UNA PASTA DI BOSS
Il fiore all’occhiello in
materia di beni confiscati è senza dubbio rappresentato dalle cooperative
sociali che, sui terreni sottratti ai boss, hanno iniziato nuove produzioni
agircole. Pasta, vino, olio, farina, miele e meloni sono stati introdotti
sul mercato nazionale in pochissimi anni grazie anche ai circuiti Coop
e Coonapi. In Sicilia, dove si contano otto realtà, la cooperativa
Placido Rizzotto in soli sei anni ha presentato sul mercato vino bianco
e rosso, mentre nei prossimi giorni è atteso un negroamaro del Salento,
prodotto dalla cooperativa pugliese “Terre Libere”.
In Campania su 164 terreni
agricoli nessuna iniziativa del genere, fino ad oggi, è stata avviata.
In provincia di Caserta, dove il numero dei terreni destinati è pari
ad 89 unità (con altre 86 ancora a disposizione dell’Agenzia del
Demanio), a seguito di una lettera indirizzata a ben 28 sindaci da Libera,
dal comitato “Don Peppe Diana” e dall’Osservatorio Provinciale
sui Beni Confiscati, con la quale si propone una “progettazione
di massima” degli interventi da realizzare sui terreni mediante una
valutazione tecnica, solo i sindaci di Trentola Ducenta e Cancello ed
Arnone, con il commissario prefettizio di Casaluce, hanno risposto.
Ci sono voluti ben 16 anni
affinché i terreni confiscati ad Antonio Moccia nel comune di Sessa
Aurunca (era l’aprile del ’90) venissero destinati al consorzio
di cooperative Icaro che, a due anni dall’assegnazione, si è limitato
ad effettuare una “pulizia straordinaria”. A Pignataro Maggiore
i 33 ettari confiscati nel ’95 al boss Angelo Nuvoletta, quelli che
il prefetto Alessandro Pansa decide di adibire nei mesi scorsi, senza
riuscirvi, a discarica per rifiuti, vengono affittati dal curatore del
demanio, l’avvocato Walter Galloppo, proprio ad alcuni agricoltori
di Marano, paese feudo del clan. Sempre a Pignataro, sui vicini terreni
della villa bunker di un altro boss, Raffaele Ligato, nel 2002, durante
la gestione del demanio, Maria Giuseppa Lubrano, moglie di Ligato, stipula
un contratto d’affitto con quattro agricoltori di Giugliano
alle dipendenze di una ditta della stessa zona. Prima di andarsene,
gli occupanti vandalizzano la villa sotto lo sguardo delle forze dell’ordine;
servizi igienici e finestre vengono divelti dall’esterno con un trattore.
Solo molto tempo dopo la commissione antimafia della sedicesima legislatura
indica la struttura come nuova caserma dei carabinieri e della guardia
di finanza. Quanto ai terreni, soltanto lo scorso 8 febbraio sono stati
avviati lavori di semina delle pesche; a condurli, un (1) agricoltore.
DEMANIO OSCURO
Quello che manca è una mappatura
precisa di tutti i beni confiscati, mentre l’Agenzia del Demanio preferisce
non diffondere, «per motivi di sicurezza» – tengono a precisare –
i dati in suo possesso, che spesso differiscono da quelli disponibili
presso le prefetture: due apparati dello Stato, impegnati nella stessa
battaglia, che non comunicano tra loro. «Una condotta poco trasparente
– taglia corto un addetto un addetto ai lavori – quella dell’Agenzia
del Demanio, tesa in particolare a perseguire degli obiettivi annuali
che, una volta raggiunti, fanno slittare ogni altra destinazione di
beni all’anno successivo. Una perfetta logica da azienda privata».
La musica non è molto diversa
in Puglia (su 585 beni immmobili solo 341 destinati) e in Calabria,
dove sono 778 i beni dello stesso tipo “destinati”, a fronte
di un totale di 1178 sottratti alla criminalità. In Calabria, peraltro,
è bassissimo il numero delle aziende confiscate: sono appena 73, quasi
tutte nella provincia reggina.
La concentrazione territoriale
dei beni da gestire è molto elevata. Circa il 50% è infatti dislocato
in dieci città, con la prevalenza di Palermo (31%), Roma, Milano,
Reggio Calabria. Fra i centri minori la parte del leone spetta di diritto
a Castel Volturno, in provincia di Caserta, con un “rispettabile”
2% dei beni totali nazionali (pari al 26%, invece, di quelli presenti
in Terra di Lavoro). Proprio in questo piccolo centro del casertano
(poco meno 20.000 residenti, “invisibili “delle favelas
locali a parte) risultano assegnati tra il 1997 ed il 2004 33
immobili fra ville, appartamenti, box e terreni, tutti confiscati tra
il 1986 ed il 2000, ai quali vanno aggiunte una trentina di villette
del Parco Allocca confiscate nel 1992 alla società S.B.E. spa di Giugliano,
riconducibile a Francesco Rea, ed affidate al comune nel
dicembre dello scorso anno: villette però – guarda caso – «occupate
da chi, prima del sequestro, ha sottoscritto un regolare contratto
di affitto con la vecchia società proprietaria degli immobili». Il
Comune avrebbe ipotizzato la realizzazione di una “cittadella delle
attività”, ma sulle abitazioni grava un’ipoteca di 4 milioni di
euro circa e al momento è in atto un contenzioso giudiziario con l’istituto
bancario creditore.
A fronte di tali numeri e di
altri 30 beni ancora gestiti dall’Agenzia del Demanio, risultano affidate,
da parte del Comune di Castel Volturno, solo quattro appartamenti, di
cui tre effettivamente utilizzati come centro sociale per minori e casa
famiglia. Accusa un avvocato: «Questa drammatica situazione, taciuta
dagli organi competenti, non appare diversa da quella salernitana, dove
la mappatura dei beni è solo un’ipotesi e tante abitazioni, soprattutto
nella piana del Sele, risultano ancora, seppur confiscate, illecitamente
occupate dai vecchi proprietari. Così come avviene nel napoletano,
dove 32 immobili dei 244 ancora da destinare da parte della solita Agenzia
del Demanio risultano in qualche modo occupati».
CONSORZI IN CAMPO
L’esperienza dei Consorzi
vede protagoniste solo due regioni: la Sicilia con tre e la Campania
(due). In questo caso diversi comuni si sono riuniti e hanno creato
una struttura che può dedicarsi – almeno sulla carta – ai beni confiscati.
Il “Consorzio per lo sviluppo e legalità”, costituito nel 2000
a San Giuseppe Jato, ha avviato l’affidamento di beni a cooperative
sociali che hanno realizzato agriturismi. Ancora in fase di lento decollo
i consorzi di Agrigento e di Trapani.
In Campania, il consorzio napoletano
S.O.L.E., nato nel 2003, ha ultimato il ripristino di una villa bunker
a Giugliano destinata a diventare un centro sportivo polivalente. L’inaugurazione
è avvenuta il 12 dicembre dello scorso anno ma adesso, per avviare
le attività, si attendono gli arredi.
Agrorinasce, con sede a San
Cipriano d’Aversa, è in vita dal 1998 e gestisce una quindicina beni
di cui uno solo utilizzato, l’Università per la Legalità e lo Sviluppo.
Al Consorzio sono stati finanziati progetti per un alcuni milioni di
euro. Per quattro di tali progetti i lavori di ristrutturazione sarebbero
dovuti terminare entro l’autunno dello scorso anno ma, per il momento,
sono ancora in corso. Altra anomalia riguarda la “Casa Don Diana”,
inaugurata il 23 novembre 2005: avrebbe dovuto accogliere minori in
difficoltà con un progetto condotto dall’Asl CE2, ma è oggi inutilizzata.
L’amministratore delegato del consorzio, Giovanni Allucci, giustifica
il tutto affermando: «dopo l’inaugurazione si sono dovuti affrontare
problemi riguardanti l’agibilità della struttura, abusiva e non accatastata,
la quale era servita da un pozzo con acqua inquinata». Circostanza
che il consorzio non poteva non conscere prima dell’inaugurazione.
pubblicato su “La Voce delle Voci”
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