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Terra di camorra tra speranze disattese

Di Pietro Nardiello il . Campania, Dai territori

Spesso ci si domanda, soprattutto in occasione di qualche anniversario, se in terra di camorra qualcosa possa essere cambiata se, in qualche modo, è possibile annotare uno spiraglio che possa far emergere bagliori di positività. Trascorrono in questo modo anni o decenni durante i quali l’unico esercizio possibile resta quello di riannodare le parole dette e le speranze disattese di comunità responsabili che, quotidianamente, lavorano per raggiungere emancipazione e cambiamento. A Casal di Principe, per esempio, fatta eccezione per le attività del Comitato che si onora di celebrarne la memoria e del coordinamento casertano dell’associazione Libera, il sipario del silenzio non si è ancora levato dalla figura di Don Peppe Diana, “il pretaccio” assassinato quattordici anni fa dalla camorra “mentre svolgeva semplicemente il suo lavoro”.
 

Riordinando come tasselli di un puzzle le cronache degli ultimi anni, ci si rende conto come questa terra sia abituata anche a fagocitare  quello che a lei risulta indigesto. Qui non si cambia il lessico né l’azione criminale.

Nel frattempo, però, si è celebrata una nuova giornata, la tredicesima, dedicata alle vittime innocenti delle mafie che quest’anno il locale coordinamento di Libera ha organizzato a Villa di Briano, il comune più piccolo di Terra di Lavoro “perché, ha riferito in fase di presentazione Valerio Taglione, “ dalle piccole cose è necessario impegnarsi per costruire comunità diverse e città sane”.

Poco più di settecento nomi ed altrettante storie accomunate nel dolore,  ricordate con la tradizionale lettura amplificata all’esterno della sala comunale.

Azioni simboliche da contrapporre a quei soprusi di un sistema tentacolare tutt’altro che concluso, bravo a condizionare, anche con il voto di scambio o l’aggressiva penetrazione, si legge nell’ultima relazione della Commissione Nazionale Antimafia, le classi politiche e a mimetizzarsi nel tessuto ordinario. Ultimo avvenimento in ordine di tempo è rappresentato dalla scoperta che le attrezzature fornite all’Università per la Legalità, ubicata a Casal di Principe in un bene confiscato affidato al consorzio di comuni “Agrorinasce”, sono state fornite da una ditta vicina ad affiliati al clan dei casalesi.

Un clan ritenuto, dopo qualche pentimento o collaborazione “eccellente”, sul viale del tramonto e che invece pare si stia ricompattando proprio seguendo gli insegnamenti dei capi storici che non hanno mai esitato a dar luogo ad azioni violente o delegittimanti pur di affermare il proprio potere sul territorio.
 

Sembra confluito nel dimenticatoio il ricorso degli avvocati difensori di Francesco Schiavone (Sandokan) che a tutti i costi cercarono di bloccare la distribuzione del romanzo di Nanni Balestrini (edito da Einaudi) “Sandokan storia di camorra” ritirato dal commercio dal casa editrice torinese nonostante il ricorso vinto, o il delitto del sindacalista Federico Del Prete, il cui processo ha avuto inizio proprio qualche giorno fa o, per concludere, le rivelazioni del collaboratore di giustizia Dario De Simone, il numero tre del clan dei casalesi, accusatosi di ben 99 omicidi, che affermò durante un’udienza dell’esistenza di un piano, risalente agli anni novanta, con il quale fu deciso di assassinare la cronista de Il Mattino Rosaria Capacchione “la quale, con una serie di articoli, aveva causato tanti fastidi al clan”.  
 
 
 
 

Azioni sulle quali non è mai stata concentrata quella giusta attenzione mediatica naufragata  già l’indomani dopo la pubblicazione delle quotidiane cronache locali così per quanto accuduto, soprattutto negli ultimi mesi, a Pignataro Maggiore, ai giornalisti Salvatore Minieri, Enzo Palmesano e Carlo Pascarella tutti minacciati, anche con colpi di fucile sparati contro il  portone di casa, dal clan Nuvoletta-Lubrano.  

“I casalesi non dimenticano le sentenze emesse”, affermò lo stesso De Simone, “possono solo rimandarle”, ed ecco come le minacce inserite all’interno della richiesta di spostamento del processo Spartacus “per legittima suspicione”, formulata dagli imputati Bidognetti e Iovine, appaiono un chiaro messaggio di continuità con quanto avvenuto in passato, con quanto realizzato dalle vecchie gerarchie del clan dei casalesi messo alle strette dalle troppe condanne e dalle continue confische.

A seguito di ciò la cronista de Il Mattino Rosaria Capacchione, il vero obiettivo simbolo ancora mal digerito dal clan, si è vista assegnare una scorta ma nel fratempo la richiesta di spostamento della sede del processo Spartacus, tutt’ora in corso a Napoli, non avuto accoglimento.
 

Le formazione criminali di terra di lavoro quando ammazzano lo fanno per mettere a tacere per sempre un simbolo più che una persona, per questo motivo quanto indicato da Valerio Taglione nell’incontro di Villa di Briano dello scorso 21 marzo ha un valore doppio: “Questa terra non ha bisogno di frasi dure da dire alla criminalità organizzata, ma di azioni concrete che possano permettere di costruire comunità alternative alla camorra, di azioni che facciano comprendere ai cittadini che la legalità sia lo status da perseguire”.

Tanti beni confiscati in questa provincia, ad esempio, risultano ancora tra la disponibilità dell’agenzia del Demanio, inutilizzati dai Comuni o nelle mani dei vecchi proprietari mentre altri, come la Casa “Don Diana” a Casal di Proincipe, nonostante l’inaugurazione avvenuta nel novembre del 2005 resta tutt’ora ancora inutilizzata. Un simbolo tutt’altro che positivo.

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