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Dopo il 15 marzo, rassegna stampa

Di redazione il . Rassegne

Una Trapani dal paesaggio gentile e vagamente pasoliniano ma una mafia che non si è affatto indebolita, ne tantomeno “ingentilita. Queste alcune delle parole che hanno fatto scattare nel Sindaco di Trapani Girolamo Fazio, la difesa d’ufficio di questa splendida cittadina affacciata sul mare fra saline e mulini a vento. E’ il reportage di Repubblica (18marzo2008 Repubblica) a cura di Franco Marcoaldi a dare origine alla replica del Sindaco. Peccato, perchè quel reportage racconta alcune delle verità sotto gli occhi di tutti a Trapani: una bellezza da mozzare il fiato e un ritmo di crescita soffocato dalle mafie. Sono dati che emergono anche dalle sentenze, l’ultima sul processo Pace che racconta di una certa mafia sommersa ma su questa il primo cittadino trapanese non aggiunge per il momento, nulla. I commenti sono solo per Marcoaldi che incassa, immaginiamo anche esterrefatto. Questione di orgoglio, forse.

 

Quello della città di Palermo sta notevolmente meglio da quando gli uomini della mobile smantellano pezzo dopo pezzo le casse del Clan Lo Piccolo. E’ il 17 marzo quando nel capoluogo siciliano 21 arresti infliggono un duro colpo agli estorsori del clan che soffocavano le imprese della città. (L’Unità 18marzo 2008, Avvenire 18marzo2008) . E mentre finiscono in manette i taglieggiatori palermitani nella Sicilia orientale, a Catania, è la società responsabile a mobilitarsi contro il racket.. La storia è quella di un imprenditore di Palagonia (Ct) che si è opposto al pizzo e ha denunciato i suoi aguzzini i quali tornati in libertà avevano ordinato agli abitanti della zona di isolare l’ imprenditore, produttore di arance, che da tempo non riusciva infatti né a trovare la manodopera necessaria per la raccolta né clienti che le comprassero. Così ha chiesto aiuto all’ antiracket etneo e ed è nata la prima raccolta “arance libere” che ha visto la partecipazione volontaria di Libera Catania, Mani tese, Addiopizzo Catania, ragazzi delle scuole delle province di Agrigento, Ragusa, Siracusa e Messina. Il raccolto è stato poi venduto in città e le ottime arance di buona qualità hanno finalmente trovato acquirenti liberi e non intimiditi dalle mafie. (Gazzetta del Sud 18marzo, Avvenire 15marzo2008 III ).

 

Una società civile che si mobilita e inizia a battere sul tempo le mafie, in uno strenuo tentativo di fare prima di loro dopo anni in cui spesso il tempo ha giocato a loro favore. E contro le lentezze burocratiche che troppe volte favoriscono i boss è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affidando il suo richiamo ad una lettera indirizzata al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Da Gela infatti è arrivata una notizia sconcertante. Dal maggio del 2000 non è stata ancora scritta la sentenza di un processo di mafia e nel frattempo i boss sono a piede libero e sono, fra l’ altro, esponenti di primo piano dentro Cosa nostra (Avvenire 15marzo2008).

 

Sono ancora le aule giudiziarie di un processo a fare notizia questa settimana.

Siamo in Campania e durante il processo Spartacus di fronte alla prima sezione di corte d’assise d’appello, i casalesi affidano al loro difensore un messaggio da leggere in aula e con il quale chiedono lo spostamento del processo per “legittima suspicione”. Causa di questi condizionamenti sui giudici sarebbero i giornalisti (definiti dai boss “prezzolati” o “pseudogiornalisti”) Rosaria Capacchione, Roberto Saviano e lo stesso pm Raffaele Cantone. La lettera è lunga e minacciosa, alla collega de Il Mattino viene assegnata la scorta. E’ ancora una volta l’informazione a pagare sulla propria pelle il prezzo delle verità scomode alla camorra e alle zone grigie che la tollerano e spalleggiano in silenzio.

 

Solo qualche giorno prima in Calabria la casa del pentito Ulisse Sterpa era stata devastata. Il fratello Giuliano collabora con la giustizia da un anno e la Dda dopo l’ ennesimo episodio di intimidazione, lancia l’allarme su tutta la provincia di Cosenza.(Gazzetta del Sud 17marzo2008) Le mafie non smettono di minacciare, soprattutto quando i pentiti parlano e i giornalisti raccontano; preferiscono il silenzio, il vuoto, lo spazio per agire incontrastati, invisibili. Le parole di chi racconta o di decide di collaborare, dunque sono le armi migliori per disgregare affari e connivenze che li alimentano.

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