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Il padrino pentito scrive ai ragazzi : «I camorristi sono solo dei buffoni»

Di Raffaele Sardo il . Campania, Dai territori

«Sono Domenico Bidognetti, un vostro
compaesano che si è pentito di tutto ciò che ho fatto in venti anni
trascorse nell’ illegalità, nel clan dei Casalesi che non è altro che
una ragnatela per accaparrarsi la vita degli altri in modo che la loro
diventi longeva». Comincia così la lettera che il pentito Domenico
Bidognetti, cugino del boss Francesco Bidognetti
ha inviato alle centinaia di studenti che ieri mattina erano riuniti
nella chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, per ricordare
la figura di don Giuseppe Diana, il prete ucciso dalla camorra il 19
marzo del 1994. Una lettera di 4 pagine, scritte a mano, in un italiano
incerto, che
Bidognetti ha spedito al
pm Giovanni Conzo. A leggere la missiva è stato Valerio Taglione,
portavoce del Comitato don Peppe Diana. Nel presentarla, il giudice
Conzo ha ricordato che il pentito si è autoaccusato di molti omicidi.
«I mafiosi del nostro paese – ha scritto
Bidognetti
– solo questo sanno fare e cioè: minacciare le persone buone, brave,
oneste. Ma vi posso assicurare che loro, i mafiosi, sono solo dei
buffoni quando nessuno li denuncia».

Nella lettera Bidognetti
racconta anche come ha cominciato a frequentare gli ambienti criminali.
«Non ero nato per fare ciò che ho fatto, quello che ho commesso, il
male, il terrore. Io sono nato in una onesta famiglia di lavoratori
come tutte le vostre famiglie. Ma è successo che durante il percorso
della mia vita, esattamente quando avevo ventidue anni, ho iniziato a
frequentare i miei ex amici. Dico ex, perché ho cambiato percorso di
vita e di fede. Ho iniziato a credere in Dio. E questo mi ha aiutato
anche ad avvicinarmi alla legalità. La goccia che fece traboccare il
vaso fu quando mia figlia, la luce dei miei occhi, mi disse che si
doveva fare incidere sul polsino della camicia le mie iniziali, del mio
nome e cognome. A mia domanda rispose: “Perché così quando vado a
pagare alla cassa vedono le iniziali tue e non si prendono i soldi”. A
me in quel momento cadde il mondo addosso. Volevo morire. Perché io a i
miei figli gli avevo insegnato sempre la strada della legalità. La mia
paura era proprio quella che un domani i miei figli potessero seguire
le mie orme». Le parole che Valerio Taglione ha scandito lentamente dal
microfono hanno colpito profondamente i ragazzi. Attenti alla lettura.
«Casal di Principe – aveva detto poco prima una studentessa del liceo
scientifico di San Cipriano D’ Aversa – non può essere sempre e solo
ricordata come il paese della camorra, ma deve essere il paese di don
Diana».

Nelle sue 4 pagine il pentito chiede: «Chiedo scusa non solo
alle persone a cui ho fatto del male, ma anche ai loro cari e a tutti
voi del mio paese, alla comunità delle persone che lavorano
onestamente». «La legalità – conclude Bidognetti
– è la cosa più bella del mondo e non vorrei che voi, figli di questa
terra, ve ne accorgeste a 42 anni, come ho fatto io. Voi dovete
combattere per difendere la vostra terra, per il vostro futuro e quello
dei vostri figli. Per la libertà di tutti, per pulire il paese da
questo cancro. Non permettete più a nessuno di appropriarsi delle cose
degli altri senza averne diritto. Non dovete avere paura di denunciare».


(articolo tratto da La Repubblica)

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