Ecco dove crescono i «fiori di Peppino Impastato»
Chissà se quel 9 maggio di trent’anni fa, quando gli aguzzini di Peppino lo tramortivano, gli spaccavano le testa a colpi di pietra e lo imbottivano di tritolo per farlo a pezzi, chissà se quei sicari mandati da Tano Badalamenti per far stare zitto quel giornalista, chissà se immaginavano che centinaia di bambini avrebbero detto, dall’altra parte del Paese così tanto tempo dopo, “Peppino, hai migliorato la nostra vita, grazie”.
Bambini della scuola elementare che sono i primi fiori del “Giardino Impastato”, che hanno già festeggiato quel ragazzo inquieto e poeta, giornalista scomodo, non professionista, ma passionale e inflessibilmente vero, tanto magro e smunto quanto simpaticamente fastidioso e comunicativamente geniale. Centinaia di palloncini e cartelloni colorati hanno già fiorito il parco di largo Sempione e hanno garantito un futuro ad un ragazzo che, seppure o forse proprio perché è stato trucidato all’età di 32 anni, rimarrà giovane ed eterno per sempre.
Giovane nelle voci di migliaia di bimbi delle scuole di Barriera di Milano che hanno intonato a squarcia gola la canzone “I cento passi”, dei Modena City Ramblers. E alla festa è subentrata l’emozione: lacrime hanno accompagnato il momento solenne dello scoprimento della targa, con inciso il nome del giornalista siciliano che dallo scorso 14 marzo, dà il nome al giardino di largo Sempione. Il tricolore è stato sollevato dal presidente del Consiglio comunale Giuseppe Castronovo di Torino e dal fratello di Peppino, Giovanni Impastato: due lembi di una bandiera per unire il Nord e il Sud d’Italia nella lotta contro la mafia che, in occasioni come questa, diventa educazione alla legalità e costruzione del futuro.
Introducendo la cerimonia, il presidente della Sala Rossa ha raccontato la vita del ragazzo di Cinisi, sottolineandone la sua scelta di campo: “Peppino – ha detto – si è opposto al codice di comportamento della mafia, alla quale era legata la sua stessa famiglia. Ha scelto la cultura dell’informazione contro la cultura mafiosa, la cultura del dire contro la cultura del tacere, la denuncia contro l’omertà, la giustizia contro l’illegalità, la democrazia contro l’oligarchia mafiosa”.
“Peppino Impastato è il simbolo di chi vuole lavorare e lottare nella legalità per far crescere la propria terra”, ha sottolineato il prefetto di Torino Giosuè Marino. Può accadere di abbattersi, Davide Mattiello, presidente dell’associazione Acmos, ha infatti citato un verso scritto da in un momento di solitudine: “Nessuno ci vendicherà, la nostra pena non avrà testimoni”, ma ha aggiunto: “La presenza di tanti giovani rappresenta invece la testimonianza di voler continuare a resistere al sistema mafioso”. Trent’anni e dueimila chilometri dopo…Peppino non è mai morto.
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