«Eravamo centomila più ottocento. Loro marciavano con noi»
La storia di Graziella Campagna la conosco da tempo. Ricordo che quando iniziai a frequentare la redazione di Narcomafie, il mio primo pezzo da correggere fu proprio un pezzo su Graziella. La giustizia bestemmiata, si intitolava, di Manuela Mareso e parlava del mancato deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado.
Me lo ricordo bene questo particolare, mentre mi presento a Pietro Campagna, fratello di Graziella, uno dei familiari che ha partecipato alla giornata della memoria, qui a Bari. Pietro è visibilmente felice: «Questa è stata una giornata magnifica. La manifestazione mi è piaciuta molto ed è stata molto commovente. Ritengo necessario un ringraziamento al sindaco, di cui Bari deve essere orgogliosa, una Bari che vedo cresciuta e che mi piace vedere invasa da tante scuole ma ritengo davvero emozionante– continua Campagna – sia l’intervento di un Luigi Ciotti emozionato sia la lucida e veemente autocritica di Nichi Vendola a nome delle Istituzioni; mi ha toccato profondamente». Pietro ripensa alla vicenda della sorella, uccisa nel messinese perchè venuta a conoscenza di ciò che non doveva conoscere: «Dopo il martirio fisico mia sorella ha subito anche un martirio istituzionale. Solo la fine del processo potrà mettere fine a questo calvario lungo il quale, fortunatamente, ho avuto il sostegno di varie associazioni, come Libera e l’associazione Rita Atria». Interrogato sul caso della fiction, a lungo sotto i riflettori per i ritardi che hanno preceduto la messa in onda, Campagna ribadisce: «l’impegno a far girare nei circuiti scolastici la fiction, un ottimo modo per proporre il tema della memoria. Una testimonianza di legalità che unirà noi, la Rai e Beppe Fiorello, un ragazzo nobile che non si è limitato ad interpretare un personaggio, ma ha dichiarato di voler proseguire il suo impegno».
Sono molte le storie di questa giornata. Le si può leggere sulle mattonelle, tasselli uguali che compongono il carapace dell’arca, sul lungomare. Si leggono sui cartelloni che gli studenti portano in mano, loro che hanno adottato una vittima di mafia. Lo si legge soprattutto negli occhi, lucidi ma felici che il 14, venerdì pomeriggio, si incontravano alla Fiera. In programma una assemblea dove i parenti delle vittime di mafia si ritrovavano nella loro famiglia di adozione, nel circuito di Libera, rinnovando la memoria e l’impegno in ricordo dei cari uccisi dalla barbarie mafiosa.
Dal figlio di Mario Francese, in ricordo della morte del padre e del suicidio del fratello, devastato psicologicamente dalla morte del genitore alle parole lucide di Dario Montana, intercettato il 15 nei pressi dello stand che vende i prodotti di Libera Terra: «Incontrarci è stato qualcosa di intenso, ha permesso una rielaborazione dei lutti: ricordando personalmente siamo pervenuti alla coscienza dell’importanza di una memoria collettiva- sottolinea il fratello di Beppe Montana, ucciso nel palermitano – che esca dalla concezione di questo momento come dell’ostensione di un mero pezzo di dolore, ma che diventi voglia di costruire una idea diversa di democrazia».
Se di intensità emotiva si vuole parlare non si può che entrare in punta di piedi al teatro Kursaal. Buio in sala e silenzio. Beatrice Luzzi porta in scena un monologo di Nando Dalla Chiesa, Poliziotta per amore,ispirato alle vicende di Emanuela Loi, perita nell’attentato che tolse la vita al giudice Borsellino. Quando la brava attrice finisce la sua performance, prima ancora degli applausi, un grido: «Grazie!». Lo scandisce un poliziotto alle mie spalle, nell’oscurità prima che la gente inizi a fendere il silenzio con gli applausi. Un ricoscimento a chi seriamente si impegna per difendere uomini, garantirne la vita e portare avanti importanti battaglie. Riconoscimento riscosso anche in piazza il giorno dopo quando il padre di Michele Fazio dal palco rievoca la morte del figlio. Ucciso a Bari vecchia, a «cento passi da qui» come dice lui stesso, in una città che sta migliorando e che necessita della collaborazione con le forze dell’ordine («siete voi, ragazzi e forze dell’ordine, l’orgoglio di questa città»).
Quei poliziotti e dirigenti statali che spesso per la volontà di tenere dritta la schiena pagano il prezzo più alto. Come Sergio Cosmai, direttore del carcere di Cosenza, ucciso brutalmente da chi, in carcere, spadroneggia come se fosse nel proprio feudo. La moglie di Sergio, Tiziana Palazzo, denuncia la sua lunga solitudine, dopo quel 13 marzo del 1985 ed è uno straziante e duro appello alle istituzioni affinchè decidano finalmente «da che parte stare e si decida a lavorare contro lo stato delle cose» e «Per non dimenticare che quelli che sono letti non sono solo nomi ma un invito a costruire in maniera comune e quotidiana l’esperienza dell’antimafia».
Come conclude Viviana Matrangola, di Libera Memoria, «è necessario seguire questa fame di giustizia» per continuare ad alimentare una memoria condivisa.
La sera è ormai scesa quando sull’autobus, direzione albergo, mi intrattengo con Margherita Asta, che nella strada di Pizzolungo ha perso madre e due fratellini piccoli. «Non eravamo centomila, ma centomila più ottocento. Loro marciavano con noi e riecheggiavano scanditi dalle voci che le nominavano». Mentre l’autobus è inghiottito dall’oscurità, parlando con Margherita, riesco a sentire quel filo che unisce la sua storia a quella delle altre vittime, quel senso di «ritrovarsi in famiglia» che lei mi ha sottolineato in maniera così decisa. Ma, soprattutto, mi sento anche io strettamente legato a lei, alla sua storia, al suo impegno. Pur avendola conosciuta di persona da poco più di quindici minuti.
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