Memorie
Francesco Fonti è un pentito di ‘ndrangheta dal 1994. Non apparteneva ad una famiglia mafiosa, era semplicemente un affiliato di ‘ndrine potenti, quali quelle di Siderno e di San Luca. Durante i suoi primi anni di collaborazione ha prodotto un memoriale in cui si svelano oltre ai soliti traffici anche le nuove frontiere del commercio illegale. Fonti parla di smaltimento di rifiuti tossici. Scorie radioattive da occultare in fondo al mare, in Somalia o nel brullo e misterioso Aspromonte.
Fonti si attribuisce molti dei traffici avvenuti su ordine di alcune ‘ndrine tra il 1980 e il 1990. “Le scorie – dichiara – erano smistate dal centro Enea di Rotondella, in Basilicata” e probabilmente finite in Somalia. Ipotesi tenuta in considerazione anche dagli inquirenti che indagano sul duplice omicidio dei reporter Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. Si presume che i due giornalisti fossero a conoscenza del traffico rifiuti-dollari tra Italia e Somalia. La dinamica è tanto semplice quanto disumana: lo Stato italiano, tramite la ‘ndrangheta, trasportava le scorie fino in Somalia, dove successivamente venivano smaltite. Non aveva importanza dove venissero occultate le scorie, se in mezzo ai campi o in fondo al mare, non interessava la salute della povera gente, ciò che più importava era il denaro e le armi.
Le indagini rivelano uno spaccato inquietante ancor più alla luce degli avvisi di garanzia emessi in questi giorni dalla direzione antimafia di Potenza a carico di otto ex dirigenti del centro dell’Enea della Trisaia di Rotondella e di due presunti affiliati alla ‘ndrangheta. Tra i reati ipotizzati lo smaltimento di rifiuti tossici, commercio di armi, traffico di sostanze radioattive e la produzione clandestina di plutonio. Il plutonio, secondo gli inquirenti, sarebbe stato passato dalla mafia calabrese all’Iraq di Saddam Hussein, all’epoca in pace con gli Usa e ritenuto dall’occidente alleato “democratico”.
Secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno risulterebbero indagati, tra gli ex dirigenti Enea, Giuseppe Orsenigo, Raffaele Simonetta, Bruno dello Vicario, Giuseppe Lapolla, Giuseppe Rolandi, Giuseppe Lippolis e Tommaso Candelieri. Con loro sono indagati due appartenenti alla ‘ndrangheta Bruno Musitano e Giuseppe Arcadi. I due sono citati nel memoriale di Fonti. Nel materiale inviato alla Direzione nazionale antimafia da parte del pentito si trova la spiegazione dell’enorme potere d’infiltrazione delle ‘ndrine ioniche. Le dichiarazioni erano state pubblicate dall’Espresso nel 2005 e riguardavano gli affari illegali delle ‘ndrine di San Luca con gli alti poteri dello Stato. “Nirta mi spiegò – scrive Fonti – che gli era stato proposto dal ministro della Difesa di stoccare bidoni di rifiuti tossici. L’ipotesi era quella di sotterrarle in alcuni punti dell’Aspromonte e nelle fosse naturali marine che c’erano davanti alla costa jonica della Calabria”.
Le diverse ‘ndrine si ritrovarono per pianificare il progetto a Polsi senza tuttavia mettersi d’accordo su un azione unica. Ogni famiglia, secondo le dichiarazioni di Fonti, avrebbe provveduto in piena indipendenza ai propri traffici. Fu così che Fonti cominciò a lavorare per la famiglia Musitano di Platì. Il capobastone Domenico Musitano “u fascista” chiese a Fonti di “ far sparire 600 bidoni contenenti rifiuti tossici e radioattivi. Mi spiegò – continua Fonti – che era stato avvicinato da uno dei dirigenti dell’Enea, Tommaso Candelieri (tra gli indagati), che aveva l’urgenza di far sparire questi fusti che erano depositati in due capannoni dell’Enea stessa. Quanto ai soldi, avrei dovuto intascare 660 milioni”.
Per quanto riguarda il trasporto Fonti scrive: “Come appoggio, Musitano mi diede la disponibilità del genero, Giuseppe Arcadi, il quale mi aiutò trovare i camion e gli autisti per il trasporto dei rifiuti.” La pianificazione era perfetta, ma qualcosa cambiò le carte in tavola : “u fascista” venne ucciso davanti al tribunale di Reggio Calabria e l’affare fu rinviato di pochi mesi. Nel 1987 , tra il 10 e l’11 gennaio, l’operazione “tossica” è stata portata a termine. Il memoriale venne fuori diciotto anni dopo, provocando, allo stesso tempo, polemiche tra i politici riguardo l’attendibilità dei pentiti e nuove indagine dai possibili risvolti eclatanti.
Francesco Fonti è collaboratore di giustizia dal 1994. Dalle indagini e dalle sue dichiarazioni risulta essere elemento di spicco della ‘ndrangheta nel traffico di stupefacenti nel Nord Italia. Tra Modena, Reggio Emilia e Milano Fonti reggeva il traffico di droga per la ‘ndrina dei Romeo, il cui boss era Sebastiano Romeo detto “u staccu”, molto vicini ai Nirta, altra storica famiglia ’ndranghetista. Non sempre le sue dichiarazioni sono state ritenute veritiere, tuttavia in alcune descrizioni gli elementi di rilievo coincidono con le indagini fatte e con le dichiarazioni degli altri, se pur pochi, pentiti della ‘ndrangheta.
Riguardo, ad esempio, un omicidio di un bancario avvenuto a Locri nel 1989 il Fonti lo giustifica come omicidio avvenuto a causa di un opposizione a vari tentativi di richiesta di riciclaggio da parte di Barbaro di Platì. Nonostante tali dichiarazioni le indagini insistevano nel percorrere il binario del delitto passionale che però lasciava vivi molteplici dubbi e innumerevoli domande. L’evidenza della dinamica, entro cui è maturato quello omicidio, e le confessioni del pentito Fonti non sono state sufficienti a far aprire le porte alla verità. La vittima era responsabile dell’ufficio fidi e venne ammazzato in macchina mentre tornava da lavoro. Si trattava di una tipica esecuzione mafiosa ma venne fatta passare come altro.
Nel 1989 non esisteva neanche la legge 197/1991 sull’antiriciclaggio perciò risulta semplice capire come le banche, in Calabria, erano vere e proprie lavanderie di denaro sporco, e l’opposizione da parte di un impiegato all’illegalità mafiosa non era praticabile se non a rischio della propria vita. Chi si opponeva al riciclaggio o alla concessione di un fido senza garanzie doveva morire, ecco le regole che il pentito Fonti dimentica di raccontare, volutamente per coprire i pesci grossi o involontariamente perché soffre di amnesia.
Fantasie sui rifiuti o cruda realtà? Se le indagini vanno avanti vuol dire che qualcosa è emerso dalle torbide acque del malaffare. Di certo ci sono gli avvisi di garanzia firmati da Francesco Basentini, sostituto procuratore della Direzione antimafia lucana. Il fascicolo apparteneva, prima che fossero trasferiti a causa del coinvolgimento nell’inchiesta “toghe lucane”, al procuratore della Dda potentina Giuseppe Galante e dal suo sostituto Felicia Genovese.
I rifiuti tossici sono la nuova fonte di guadagno da parte della ‘ndrangheta e non più solo monopolio della camorra. Gli introiti si raddoppiano con il traffico dei rifiuti. Più “monnezza”produciamo più soldi entrano alle due organizzazioni criminali che dalla spazzatura estraggono oro. Le responsabilità sono anche degli imprenditori del Nord, quelli che fingono di essere socialmente responsabili e poi per pagare la metà di tasse sui rifiuti si affidano alle mafie per smaltire il loro “schifo”tossico e puzzolente imputridendo le terre e gli animi altrui.
Pubblicato sul sito di Democrazia e Legalità
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