La rassegna stampa della settimana
liberainformazione.org/news.php?newsid=1104″>Sciarada .
L’ election day è alle porte e anche la Camorra si attrezza per far
avanzare le sue richieste elettorali innescando bombe e/o trattative.
La camorra napoletana, ultimamente avvezza all’uso del tritolo, sta cercando un dialogo con la politica e lo fa
avvertendola che senza i clan non si va da nessuna parte. Lo speciale
di Maurizio Torrealta a Rainews 24 svela i retroscena di una
“trattativa in cerca” di appoggi politici. Napoli e la politica
in odor di corruzione invece appare sulle pagine della stampa nazionale
e locale a causa della cosiddetta tangentopoli partenopea in atto presso
la Regione, complice i sei arresti (domiciliari) per corruzione, disposti
da quello Il Mattino chiama il nuovo “pool mani pulite”.
La mappa diffusa dall’Ansa centimetri e pubblicata dallo stesso
quotidiano, evidenzia graficamente i vari cassetti in cui è suddivisa
l’inchiesta che vede al centro dell’affaire, non più scambi di
denaro e favori ma la nascita di società occulte pronte a “cibarsi”
di fondi pubblici. Nuovi metodi per vecchie abitudini che fanno “sistema”.
Anche Liberazione
lo scorso 21 febbraio da notizia, in un taglio basso a firma di Beatrice
Macchia, degli arresti “eccellenti” avvenuti in Campania sottolineando
che il Prc chiede che si vada subito a nuove elezioni. Lo scorso 20 febbraio invece, sempre per una presunta
mazzetta, le manette sono scattate nel Salento, a Lecce, per un giudice
di Bari. La tangente, racconta la Gazzetta del Sud, sarebbe stata
chiesta per una provvisoria esecuzione di decreto aggiuntivo. Ma non
solo bad news. Dalla Sicilia arriva nella stessa giornata la
notizia del sequestro del tesoro del di Provenzano e dei Lo Piccolo.
L’operazione denominata Secret business ha posto i sigilli
su beni immobili, e mobili del valore di circa 150milioni di euro,
su cinque imprese edili di Palermo, ma anche su alcuni beni nelle zone
turistiche del trapanese e una cava fra Carini e Montelepre (Pa); infine
complessi industriali, conti correnti, depositi e titoli. Prestanome
per la maggior parte di questi beni Andrea Impastato, arrestato nel
2002 per mafia. Mentre di questo si parla il procuratore aggiunto
Scarpinato denuncia la sospensione da settimane delle dieci password
che consentivano ai loro uffici di localizzare i beni dei mafiosi e
prestanome. Una mancanza gravissima in un momento in cui la lotta alla
mafia sta compiendo un grosso salto di qualità.
Sempre dei
beni di un boss, “presunto” per i quotidiani di Sicilia (La Sicilia,
Gazzetta del Sud, e Giornale di Sicilia) si tratta ma in provincia
di Messina. Il 18 febbraio i tre quotidiani dell’Isola danno notizia
del sequestro dei beni dell’imprenditore in carcere da alcuni anni
Mazzagatti di Santa Lucia del Mela (Me). La confisca è una notizia
per la provincia perché Nino Mazzagatti è stato condannato per estorsione
con l’aggravante mafiosa e riconosciuto nella sentenza Mare nostrum
come imprenditore troppo vicino alle cosche di Barcellona Pozzo di
Gotto. Mentre la scorsa settimana la Gazzetta del Sud annunciava la
problematica scarcerazione di dodici imputati per la Mare nostrum,
nell’area fra Barcellona, Patti e Tortorici (Me) con conseguenti problemi
per l’ordine pubblico, il sequestro dei beni di Mazzagatti segna un
punto a favore dello Stato, sebbene a Santa Lucia del Mela (Me) gli
appalti per il catering, continuino ad essere monopolio di una sola
“nota” ditta. Tensioni che resistono nei piccoli paesi dimenticati
del messinese dove l’illegalità si nasconde sempre più spesso fra
le piaghe della microcriminalità e si rivolta contro
esponenti delle forze dell’ordine. Messina come Agrigento, una delle
ultime roccaforti in cui pare si stia rifugiando la “gerenza di Cosa
nostra”.
Lo scorso 18 febbraio a Porto Empedocle (Ag) una busta con
due proiettili indirizzata all’ ex sindaco, Paolo Ferrara, è stata intercettata
dall’ufficio postale della città e sempre nell’agrigentino qualche
giorno prima una bottiglia incendiaria è stata lasciata davanti al
portone d’ingresso dell’abitazione del comandante della polizia
municipale di Cattolica Eraclea. L’ala militare e criminale di Cosa
nostra non arretra, e attanaglia le province in cui la mafia sembra
raccogliere ancora consensi e soprattutto trova cittadinanza. Le due
province di Messina e Agrigento, non solo per i piccoli e ripetuti fatti
di cronaca, ma soprattutto per il probabile riassetto di Cosa nostra,
sono due roccaforti strategiche. E mentre questo accade a Catania, con
un solo voto di scarto la poltrona della Procura viene data a Vincenzo
D’Agata. Dentro storie di nomine delicate, fiele e divergenze,
in pochissimi sulla stampa affondano l’inchiostro; per prudenza i
più restano fuori. E tutto rimane in città, per addetti ai lavori.
La presentazione della relazione sulla ‘ndrangheta invece ferma la
penna dei giornalisti per due giorni interi (21-22 febbraio) su molte
testate, dalle colonne del Quotidiano di Calabria, anche loro tappezzate
dal racconto delle holding ‘ndrine, trovano un angolo per le notizie
che parlano di legalità: un Convegno a Belvedere che ha come
tema la lotta all’illegalità nel Tirreno casentino, un incontro
nella scuola Media di San Leo (Luzzi) in cui sono intervenute le
forze dell’ordine e altri esponenti delle istituzioni, e in particolar
modo l’insediamento a Reggio Calabria della Commissione regionale
contro il “fenomeno” (così lo chiamano ancora) della mafia.
Pare che la stessa approverà per prima il codice etico istituito dalla
Commissione nazionale antimafia per le “liste pulite” alle
prossime elezioni. Lo aspettano un po’ tutti, non solo in Calabria,
s’intende.
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