I tentacoli della ‘ndrangheta come quelli di Al Qaeda
Finalmente
è arrivato. Francesco Forgione, lo aveva annunciato da tempo sulle
pagine dei quotidiani calabresi. E la stampa, lì e altrove, era pronta
già a raccontarlo. E’ il rapporto presentato dalla Commissione
parlamentare antimafia lo scorso 20 febbraio. 237 pagine, intense e
ben scritte, interamente dedicate alla ‘ndrangheta risultato- sottolineano
dalla Commissione- di decine di audizioni, missioni e atti giudiziari
compiuti nel corso della quindicesima legislatura. Ci sono dentro tutti
gli affari delle ‘ndrine, dal commercio della cocaina, agli appalti
pubblici, dal racket all’usura, sino al controllo di imprese e politica.
Un’analisi che paragona la struttura della ‘ndrangheta a quella
della più nota e pericolosa organizzazione terroristica internazionale
Al Qaeda.
Come sottolinea il quotidiano l’Avvenire nella pagina dedicata
al rapporto della Commissione antimafia, la ‘ndrangheta
è “un’organizzazione con rete tentacolare come Al Qaeda” (leggi anche su Corriere, Quotidiano
di Calabria e Liberazione). Dall’Italia alla
Colombia, dalla Germania fino all’Australia le cosche calabresi sono
diventate il “broker mondiale” della cocaina. Ma soprattutto hanno
strutturato le loro cellule in maniera disorganica ma funzionale e autonoma
in tutto il Paese (Corriere della Sera).
Durante la
presentazione del rapporto a Roma, il Presidente della Commissione antimafia
sottolinea la difficoltà di rompere il muro del silenzio e dell’omerta.
Le cosche calabrese sono “cellule” a carattere familiare. Niente
di nuovo, sin qui. Questo della ndrangheta si sapeva già ma a guardare
gli importanti passi avanti fatti in Sicilia, e in alcune aree della
Campania, saltano agli occhi le cifre irregolari e statiche della
Calabria in cui operano 155 cosche eppure: il numero dei beni confiscati
è nettamente inferiore che altrove, i consigli comunali infiltrati sono tanti, ma quelli sciolti pochissimi
e bassi sono anche i numeri dei pentiti, dei collaboratori di giustizia
e dei testimoni di giustizia. Capitolo a parte quello del pizzo. Il
70 per cento degli imprenditori paga il pizzo e il restante 30 – secondo
Forgione – ha già ceduto la sua attività alla ‘ndrangheta. Denunce,
invece, zero o quasi. Il Presidente della Commissione antimafia
alza il tiro contro le associazioni di categoria che in Calabria sono
rimaste immobili, e contro la Confindustria nazionale che non ha “punzecchiato”
a dovere quella calabrese. Infine chiede alla politica trasparenza nelle prossime
tornate elettorali: il potere di penetrazione della ‘ndragheta è
nettamente superiore a quello dello Stato in materia di liste elettorali.
Su alcuni quotidiani
arrivano il giorno dopo le smentite di Antonio Gatto presidente
della Despar Italia. Dalla
relazione del team di Forgione infatti al presidente vengono contestati
rapporti sospetti con una serie di imprenditori vicini agli ambienti
malavitosi. Gatto risponde inviando una lettera al presidente della
Repubblica Napoletano in cui si dice vittima di accuse infondate. L’imprenditore
dice di aver vissuto alcune disavventure (un’inchiesta archiviata
nel 2006 dal Gip di Catanzaro su richiesta dello stesso pm, accuse di
affari miliardari intorno ad un suo avvocato di fiducia a altre) e di
contro di non aver mai ottenuto un’audizione di fronte alla commissione
antimafia. Queste accuse mosse dunque dall’Antimafia “fanno filtrare
il sospetto che ci possa essere una regia occulta alle loro spalle intenta
a danneggiarlo per favorire altri imprenditori”. E sorpreso di dice
anche il governatore della Regione, attualmente indagato da un
filone dell’inchiesta Why not e in a capo di un consiglio regionale
con 33 inquisiti per mafia, che lamenta di non essere mai stato ascoltato
dalla Commissione e non aver dunque potuto evidenziare quanto in termini
di contrasto alle mafie, si è fatto e si continua a fare.
Sulle pagine
del Quotidiano di Calabria, che dedica tre pagine alla relazione della
Commissione antimafia sotto il logo “Antimafia Shock” trova
spazio la Connection del traffico internazionale di droga e di armi
che parte dalla Calabria e si diffonde nel resto dei Paesi senza escludere
passaggi con l’Eta e le Auc Colombiane. Le due facce della Calabria
soffocata dalla n’drangheta, la locride e la costa tirrenica, sarebbero
i leader incontrastati da cui persino Cosa nostra acquisterebbe droga
e armi. Un ruolo centrale quello assunto dalle cosche calabresi e soprattutto
trasnazionale. Una macchina che produce e distribuisce ma che ingoia
l’economia legale passo dopo passo in tutto il mondo attraverso il
riciclaggio del denaro sporco proveniente da queste operazioni “fuori
mercato”. E sempre di macchina mangiasoldi parla il
che dal rapporto della Commissione antimafia estrae
con attenzione il rapporto Sanità e il perdurare di un controllo
mafioso sul porto di Gioia Tauro: in poche parole buchi neri dei
soldi pubblici, della salute dei calabresi e infine del commercio.
Trackback dal tuo sito.