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Quei morti che camminano, isolati per il no al pizzo

Francesca Chirico il . Calabria, Dai territori

Il conglomerato prodotto dal suo impianto di Palmi, promosso dall’Unione europea, va bene per la pista dello “Charles de Gaulle” di Parigi ma non per il “T.Minniti” di Reggio Calabria. E al rifacimento dell’autostrada Sa-Rc che scorre davanti alla finestra del suo ufficio vede lavorare altre ditte, altri camion. Senza trascurare l’inequivocabile segnale di apprensione dell’Italcementi che dopo aver accettato per 20 anni pagamenti dilazionati ha cambiato improvvisamente stile: saldo in contanti e alla consegna.

“Lo trattano come un morto che cammina”, tira le somme l’avvocato Francesco Catalano che ai relatori del teatro “Cilea”, sconfortati dalle sole nove richieste di accesso al fondo di solidarietà per le vittime di mafia provenienti nell’ultimo anno dal Reggino, ha offerto uno spaccato della “cultura della denuncia” in terra di Piana di Gioia Tauro. “Lo volete sapere quello che succede agli imprenditori che puntano il dito contro la ‘ndrangheta? Succede che magari le cosche abbozzano per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine: tanto ci sono altri vampiri che completano l’opera”.

Al collo dell’imprenditore Gaetano Saffioti, 47 anni, i vampiri si sono attaccati appena spente le sirene dell’operazione “Tallone d’Achille” che nel 2002, con 43 arresti della Guardia di Finanza, colpì come uno schiaffo in pieno viso le cosche Bellocco e Piromalli che la Piana se la sono ordinatamente spartita perché, tanto, tra cantieri autostradali, porto di Gioia Tauro e centri commerciali, ce n’è davvero per tutti. E infatti per un lavoro realizzato a San Ferdinando, nei pressi dello scalo marittimo e alla frontiera tra i due “regni”, Saffioti fu costretto a raddoppiare il pedaggio, consegnando cinque milioni di vecchie lire ad entrambi i clan. Sotto l’occhio della telecamera, però.

Perché la “cultura della denuncia” l’imprenditore l’ha praticata fino in fondo, consegnando sulla scrivania delle forze dell’ordine audiocassette e filmati con tanto di lezione da parte dell’allora latitante Carmelo Bellocco che spiegava come ricavare 5mila lire per metro cubo di cemento da devolvere alla cosca. Manette, processi, prime condanne e, nel frattempo, la ritorsione. Non quella criminale consumata a colpi di pistola, taniche di benzina o minacce. Ma quella sociale ed economica, praticata da chi, letti i titoli dei giornali, ti bolla “morto che cammina”, affare necessariamente in perdita, cliente contrassegnato dalla croce: le ditte fornitrici, gli enti che in tutta la Calabria preferiscono le altrui offerte, i colleghi imprenditori che assumono distanze di sicurezza, i familiari e gli amici che scelgono di incontrarti lontano da occhi indiscreti, quando non si dileguano del tutto.

“E allora forse non si tratta solo di agevolare l’accesso al fondo, ma di impegnarsi perché chi denuncia possa continuare e vivere e lavorare nella propria terra, affiancandolo costantemente e non lasciandolo come una bandierina solitaria piantata sulla cartina della Calabria”.  Non solo questione di soldi, dunque, anche se quel fondo di solidarietà, miseramente vuoto, alle vittime e ai loro cari parla di dimenticanza.

“E’ come se la mafia, dopo aver massacrato i nostri parenti, ora cerchi di impedire, per vie tutte sue, che i beni confiscati possano produrre ristoro confluendo nel fondo”, analizza duramente Giovanna Maggiani-Chelli del “Coordinamento di via dei Georgofili” che nelle settimane scorse per la strage firmata dai Corleonesi (5 morti, oltre 40 feriti) nel cuore di Firenze ha presentato richieste risarcitorie per milioni di euro. Milioni di euro che, è costretto ad ammettere lo stesso prefetto Renato Profili, non ci sono. “E’ una deplorevole mancanza di risorse – incalza Maggiani-Chelli – Di fatto mancano soldi anche per permettere di assistere chi è rimasto invalido per colpa di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro”.  Senza contare “quelle leggi che sembrano voler agevolare la criminalità organizzata, frutto di una politica che promette e non mantiene”. E che, fa notare Lorenzo Clemente che a Reggio ha dato voce alle vittime di camorra, “sembra fornire più attenzioni e garanzie ai criminali”.

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