Giornalisti minacciati, la necessità di proposte concrete di sostegno
Alberto Spampinato, consigliere nazionale della Fnsi e quirinalista dell’Ansa è intevenuto al Consiglio nazionale della Federazione della stampa con un appello affinchè le questione relative alle intimidazioni ai giornalisti diventino l’occasione di un concreto supporto, senza limitarsi a forme di solidarietà. L’auspicio è il monitoraggio costante di realtà difficili per scoprirne i motivi e dare palpabile sostegno ai colleghi in difficoltà. Un appello, quello del fratello del giornalista Giovanni Spampinato, ucciso a Ragusa, che Libera Informazione condivide e sostiene.
prioritaria di rinnovi contrattuali e di norme sindacali violate. Ma
non deve trascurare altri problemi, non meno importanti. Ad esempio,
non può ignorare che in Italia ci sono giornalisti che vivono sotto
scorta; giornalisti intimiditi, minacciati, picchiati, uccisi. Non può
ignorare che gli episodi di violenza contro i cronisti si stanno
ripetendo con frequenza crescente. Il sindacato dei giornalisti deve
occuparsi di questa grave emergenza. Deve farlo per difendere
l’identità della professione giornalistica, il senso più alto, più
nobile del giornalismo, il suo valore sociale: quello per il quale
l’art.21 della Costituzione sancisce una difesa assoluta.
A me
non pare sufficiente citare ogni tanto le statistiche mondiali sui
giornalisti minacciati e uccisi. Bisogna osservare da vicino e con continuità cosa succede in casa nostra, capire perché succede, proporre rimedi. Chi dovrebbe occuparsi di questo terribile problema, chi può aiutarci ad
affrontarlo se noi non facciamo la nostra parte? E non la facciamo
tacendo, parlandone sottovoce o in modo retorico, mandando un
telegramma da lontano a chi è stato minacciato, percosso, o
ingiustamente inquisito.
Dobbiamo fare di più per aiutare i
cronisti impegnati in prima linea a raccontare le malefatte della
mafia. Il sindacato dei giornalisti, la federazione degli editori
devono fare la loro parte, come sta facendo la Confindustria per
difendere le imprese sane da quelle che fanno concorrenza sleale
pagando il pizzo? Perché, è inutile negarlo, anche i giornali, anche i
giornalisti, a loro modo, pagano il pizzo. Lo pagano sotto forma di
notizie omesse, taciute, censurate, negate ai lettori. Dobbiamo
cominciare a dire che quando ci occupiamo di mafie, di poteri forti, di
poteri costituiti sul territorio non siamo liberi di scrivere tutte le
notizie (vere) che troviamo, che dovremmo scrivere. Dobbiamo rompere il
tabù che ci fa tacere questa realtà. Dobbiamo dire che non solo in
Russia o in Turchia non è garantito fino in fondo il diritto di fare
informazione. Dobbiamo dire: non ci va bene che ci siano giornali e
giornalisti che si vantano di pagare questo pizzo.
Questa dovrebbe essere la bandiera della Fnsi.La giunta della FNSI deve farla propria. Si può cominciare istituendo una commissione di lavoro e di inchiesta su questi temi. Una
commissione che aiuti, dia forza ai colleghi del sindacato delle
regioni più esposte; che elabori proposte; che incontri i giornalisti
minacciati o sotto tiro, e non solo per fare un gesto di solidarietà
(che pure è importante) ma per capire cosa c’è dietro ognuna di queste
storie di informazione-impossibile che a me paiono tutte legate da un
filo comune, lo stesso filo che lega le storie degli otto giornalisti
uccisi in Sicilia negli ultimi 40 anni. Dobbiamo trovare quel filo
comune. Vedere dove porta proporre misure che permettano di fare cronaca senza pagare il pizzo della censura, senza rischiare la vita.
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