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Catania, democrazia sospesa

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

Ha il viso stanco, tirato, segnato da quella voglia di non mollare anche se le condizioni, ormai, sembrano irreversibili.

Claudio Fava, oggi parlamentare europeo, con la generosità che lo contraddistingue, torna a Catania, per prendere parte al convegno del 16 febbraio scorso in cui si parla di libertà editoriale e giornalismo. E si parla soprattutto di Catania, città, come sottolinea Fava, trattata come fosse un feudo, “ devastata in silenzio e nel silenzio dimenticata”. Sono in pochi, secondo Claudio, i catanesi presenti nell’aula magna della facoltà di economia a parlare della loro libertà, dei loro diritti, ma parla loro frontalmente, senza fare sconti. Lui è una presenza insostituibile per Catania. Lo è per la sua storia, per il suo impegno quotidiano, di cui i catanesi poco sanno, causa una lunga censura dei media locali. I catanesi Claudio non li ha mai abbandonati e la sua presenza al convegno “limiti dell’editoria e pluralismo dell’informazione” ne è l’ennesima prova, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Le sue parole raggiungono i presenti come una medicina amara ma inevitabile. Ha lo sguardo acceso e il volto corrugato quando prende la parola e ricorda, dati alla mano che: “questa è l’unica città occidentale in cui si stampa un giornale che nella stessa città non può essere letto – questa è la stessa città in cui il giornalismo produce esempi di ciò che il giornalismo non dovrebbe essere”.

Una situazione editoriale specchio di una società rassegnata, malata e soffocata. Un esempio su tutti: Scapagnini, primo cittadino catanese molto discusso ma altrettanto sostenuto, aveva promesso di non abbandonare Catania prima di portarne in pari il bilancio e approvare il Piano regolatore e invece ha annunciato che andrà via prima dell’ottava di Sant’Agata.

“C’è un sindaco – prosegue Fava – che sta per abbandonare una città dopo averla saccheggiata, per correre a Roma in cerca di una poltrona al senato. Di fronte al sindaco di una città saccheggiata che scappa, un qualsiasi giornale cambogiano, intervistandolo, lo avrebbe costretto per lo meno a motivare questa scelta, lo avrebbe incalzato con domande scomode. Perché questo ci sia aspetta da un giornalismo libero rispetto al potere. Quello che è accaduto su La Sicilia è invece l’esempio di come un’intervista non si dovrebbe fare”.

E’ il sintomo di quello che un’ informazione in mano all’editore (che è anche il direttore del giornale) e in affari con la politica possono produrre in un città che sembra non avere nemmeno più fiato per opporsi. Seppure in un situazione al limite come quella dell’editoria impura made in Ciancio Sanfilippo, Fava ricorda però come a fare l’informazione, quotidianamente, siano i singoli giornalisti. A loro rivolge un appello struggente che tuona nell’aula magna della facoltà di economia, come se nient’altro fosse stato detto prima. E’ duro ma aperto, schietto e sostanziale e parla alle singole coscienze dei giornalisti : “io mi appello a voi e all’etica di questo mestiere, quando avete per le mani un comunicato (da sette anni La Sicilia non dedica nemmeno un riga, alle attività di parlamentare di Claudio Fava, ex dei siciliani e figlio del cronista Pippo Fava, ucciso dalla mafia catanese nel 1984) pensateci due volte prima di cestinarlo. Anche voi che avete “la responsabilità”. E sembra dire, avete anche un potere: usatelo.

“Catania, conclude amaramente Claudio Fava, è una città che non sa. E un popolo che non sa non è un popolo libero. E della libertà di un popolo dovremmo farci carico tutti”. L’intervento di Fava tocca nervi scoperti. Tutti vuol dire le associazioni di categoria, sino ad oggi in silenzio. Tutti vuol dire il resto dell’Italia, ma anche il servizio pubblico radiotelevisivo regionale che di tutto questo non ha raccontato una riga. Tutti: vuol dire i singoli giornalisti che ammutinandosi potrebbero ristabilire gli equilibri saltati che la democrazia incompiuta, incompleta, catanese non sa tutelare da sé. Ti guardi intorno (giornali, politica, istituzioni) e ti rendi conto che qui la democrazia sembra sospesa. E di una parte d’Italia in cui la democrazia è sospesa dovremmo occuparci, rapidamente, tutti.

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