Oltre i vincoli della notiziabilità
Quello siciliano è un giornalismo
che si sente soffocato, costretto, schiacciato. Troppi sono i vincoli
imposti dall’alto. Troppo il potere che le singole personalità politiche,
i gruppi imprenditoriali e gli editori esercitano sull’informazione.
E, infatti, gli stereotipi del “giornalista siciliano” sono due:
quello che si è da tempo rassegnato alla situazione, che si è dotato
di una bella dose di cinismo e che ormai “tira a campare”, oppure
quello che ha lottato tanto, che ha sudato sette camice, e che non ha
ottenuto nessun risultato. O lo squallore o la frustrazione, dunque.
Per chi vuole fare informazione sull’Isola sembrano essere queste
le prospettive.
Oltre a questi stereotipi,
però, c’è anche qualcos’altro. C’è un’insofferenza latente,
che aumenta sempre di più. Lo scorso 25 gennaio, a Bagheria (PA), durante
una tavola rotonda sull’informazione, sono emerse le difficoltà,
gli umori e le tensioni del mondo giornalistico siciliano. “La notizia
sotto assedio” era il titolo dell’incontro, organizzato in occasione
del Premio “Mario Francese”, in memoria del cronista del Giornale
di Sicilia ammazzato dalla mafia nel 1979. Il premio è andato Gianluigi
De Stefano, autore di un documentario su Giancarlo Siani, giornalista
ucciso dalla Camorra nel 1985, mandato in onda su “La storia siamo
noi”. Attestati di stima per il lavoro svolto sono andati alle redazioni
dell’Ansa e della Rai Sicilia, mentre una targa in segno di solidarietà
è andata ai giornalisti siciliani vittime di intimidazioni: Lirio Abbate,
Federico Orlando, Nino Amadore, Dino Paternostro, Francesco Massaro.
Doveva essere un incontro sereno,
un unanime coro di voci per la libertà di stampa. Ma già dall’esordio
ecco tirato fuori il pomo della discordia, con Franco Nicastro,
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia pronto ad affermare
che “il marchio dell’autonomia del giornalismo è il rapporto
conflittuale con il potere”. Ma sono le parole di Giovanni
Pepi, condirettore del Giornale di Sicilia, a lasciare presagire
che il dibattito non sarà la classica passerella: “Dobbiamo rispettare
la legge – afferma – porci problemi sui segmenti di verità rubati
dai tavoli dei giudici. La legge sul segreto istruttorio non va violata
ma gestita sul modello Caselli, ci sono fughe di notizie che inficiano
le inchieste”. I tanti giornalisti presenti tra il pubblico cominciano
a scuotere la testa, decisamente poco convinti. La mente va, ovviamente,
alle ultime vicissitudini. Alla pubblicazione di notizie “riservate”
da parte di Repubblica Palermo, alle perquisizioni ai danni dello
stesso giornale, alla polemica tutta interna al Giornale di Sicilia,
nel quale la direzione – di cui Pepi è esponente principale – ha
negato la pubblicazione della notizia del pentimento di un boss del
clan Lo Piccolo perché mancava “la conferma ufficiale”.
A dare una lettura meno categorica
della questione è il pm Maurizio De Lucia. “Lasciamo fare ai giornalisti
il loro lavoro – ha detto – la pubblicazione della notizia quando
è verificata non è una colpa, ma un dovere del giornalista. La responsabilità
della fuga di notizie va cercata altrove, perché la salvaguardia delle
informazioni riservate deve essere fatta a monte, sulle fonti, che troppo
spesso se le lasciano sfuggire”.
Tocca poi a Gioacchino Genchi,
consulente informatico della Questura. Inaspettatamente, è stato lui
a buttare benzina sul fuoco. “Sono esterrefatto da quello che ho sentito
– commenta – De Lucia parla come un giornalista e Pepi come un
magistrato!”. La battuta è acuta e sferzante, dal pubblico si sentono
numerose risate. De Lucia sorride, un po’ imbarazzato. Pepi invece
non sembra prenderla bene. Genchi intanto affonda il colpo: “Pubblicare
una notizia della quale si viene in possesso è un obbligo, anche nel
caso in cui si tratti di informazioni riservate. Se la notizia doveva
restare segreta il reato viene commesso dal pubblico ufficiale che la
diffonde, mentre il giornalista, che ne viene in possesso, dopo l’opportuna
verifica, commetterebbe quasi un reato se non la pubblicasse”.
Il pubblico si sfoga con un applauso. “La vera funzione della stampa
– conclude Genchi – è quella di controllo sugli altri poteri dello
Stato. I giornalisti devono compiere il proprio dovere e non certo accontentarsi
di passare le notizie che fanno comodo alle istituzioni”.
Tutti contro Pepi, dunque. Il Giornale di Sicilia è l’azienda editoriale
più importante dell’Isola, e il suo maggiore rappresentante viene
messo all’angolo dalle critiche durante un incontro sulla libertà
di informazione. L’ultima frecciata la lancia il giornalista de
La Stampa Francesco La Licata,
che, come Nicastro, ha iniziato la carriera nel leggendario quotidiano
L’Ora: “Il ruolo del giornalista non è quello di buca delle
lettere” afferma La Licata, e poi aggiunge: “Dobbiamo tornare ad
essere autonomi rispetto a tutti i poteri, anche se, obiettivamente,
ci troviamo troppo spesso a fare i conti con una realtà editoriale
che spesso impone dei limiti alla libertà”. Come nei casi in cui
“l’editore non tutela i giornalisti, obbligandoli per esempio a
pagarsi di tasca propria le spese legali in casi di querele”. Pepi
guarda il pubblico, sconsolato. La prossima volta ci penserà due volte
prima di partecipare ad un incontro del genere. Troppo forte sarà il
rischio di uscirne – metaforicamente – con le ossa rotte.
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