Criminalità in Puglia, lo “stato delle cose”
Incontriamo il sostituto procuratore antimafia Pino Scelsi nel suo ufficio al quarto piano del palazzo della Procura di Bari in un giorno particolare. Si è da poco conclusa un’operazione condotta dalla squadra mobile della questura sulla scorta delle sue indagini, che ha portato all’arresto di otto persone -sei nigeriani e due italiani – accusati di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Scelsi ha il viso tirato dalla stanchezza, ma dalla sua voce traspare un senso di soddisfazione per il successo raggiunto. “Nel nostro territorio c’è una forte domanda di sesso facile; – spiega il dott. Scelsi –il reclutamento da parte dei caporali del sesso avviene su base etnica, mentre l’importazione, cioè il passaggio nei territori intermedi è gestito in cooperazione con le mafie nazionali”.
Quali sono i reati più comuni e quelli percepiti con maggiore insofferenza dalla popolazione barese?
“Sicuramente i reati predatori, quelli che attentano alla sicurezza e al patrimonio delle persone, restano quelli più odiosi. E quando si parla di patrimonio si richiama inevitabilmente l’insicurezza delle persone che sentono violata anche quella piccola isola di resistenza umana individuale al mondo esterno”.
Le ultime vicende dimostrano che quella barese non può più essere considerata una “mafietta pezzente”. Dal contrabbando di sigarette e dal narcotraffico, la mafia barese ha esteso i suoi tentacoli nel commercio e nell’edilizia, nella finanza e nella pubblica amministrazione. La magistratura barese, secondo Lei, è preparata per contrastare le nuove mafie?
“Naturalmente la magistratura barese è in condizioni di comprendere le vicende nel loro evolversi poiché in grado di ricostruire i vari passaggi che hanno contraddistinto la crescita e l’espansione della criminalità organizzata. Si tratta di capire qual è la storia delle persone, dei gruppi criminali, del loro insediamento nei quartieri, le loro capacità di contatto con altre organizzazioni criminali, e di comprendere le possibili evoluzioni che possono avere in prospettiva.
La capacità di leggere i fenomeni criminali nel loro divenire, almeno i macro fenomeni che riguardano la criminalità organizzata sul territorio, sicuramente la Procura li ha, proprio perché in tutti questi anni ha sedimentato una serie di conoscenze. Cosa diversa è domandarsi se siano sufficienti i mezzi. La risposta è: assolutamente no. Manca un numero adeguato di pubblici ministeri, manca personale preposto al funzionamento degli uffici, e non si è in grado di fronteggiare con completezza questi fenomeni”.
Negli ultimi tempi i clan baresi hanno decentrato le loro organizzazioni e i traffici in comuni limitrofi come Valenzano e Bitonto. La preoccupa questa delocalizzazione delle attività criminali nell’hinterland?
“C’è una concentrazione dell’attenzione sul tessuto civile della città e quindi è verosimile ritenere che effettivamente fenomeni criminali periferici, dapprima marginali, oggi abbiano acquistato una rilevanza che in passato non avevano. Anche perché sono un po’ sottratti ai riflettori”.
Di recente la DDA ha messo a segno un altro duro colpo contro il patrimonio del clan Palermiti per un valore di 15 milioni di euro. Aumenta la lista dei beni confiscati che in base ad un protocollo d’intesa firmato dal sindaco di Bari e dall’Agenzia del Demanio, saranno destinati all’Amministrazione. Ma alcuni beni, come la palazzina di Bari vecchia sequestrata al clan Capriati, sono tuttora occupati dai familiari dei boss. Come rendere più rapida ed effettiva l’assegnazione di questi beni per i fini contemplati dalla legge 109? E come procederà il Comune nella gestione di questi beni?
“Il problema a mio parere è quello di far retrocedere alla soglia del sequestro la possibilità di sperimentare gestioni diverse dei beni. Mi spiego: se un bene già sequestrato viene lasciato nella disponibilità del destinatario del provvedimento di sequestro, è inevitabile che si verranno a frapporre grandissime difficoltà a conseguire materialmente il passaggio di consegne del bene confiscato all’Agenzia del Demanio. Il problema di fondo è quello di assicurare che non si creino i presupposti per una difficoltà di gestione al momento della confisca”.
Quale percezione ha del fenomeno criminale delle ecomafie in Puglia? L’imprenditorialità barese in che misura è coinvolta in questo business?
“ Questo è un aspetto di difficilissima risoluzione. Di associazioni criminali pugliesi davvero coinvolte in attività di smaltimento dei rifiuti non vi sono grandissime tracce negli atti giudiziari. Una cosa è la cattiva gestione dell’azione delle leggi in materia ambientale, cosa diversa è la gestione da parte di organizzazioni criminali. Sotto questo secondo aspetto credo ci sia qualche difetto di conoscenza”.
Passiamo dall’antimafia delle manette a quella dei diritti, del lavoro e della cultura. Bari è spesso al centro dell’attenzione per fenomeni riprovevoli di microcriminalità e bullismo. Cosa si sta facendo e cosa occorrerebbe fare per arginare questa piaga sociale, per la riqualificazione urbana ed umana delle sue periferie?
“E’ fondamentale porre l’attenzione alla crescita della gioventù nei quartieri e alla presenza delle scuole. La prima, specie nei quartieri più a rischio, significa impegnare tutte le forze per evitare che la gioventù non faccia mediazione con l’illegalità. La scuola invece deve riacquistare un ruolo centrale, e questo significa occupare più tempo, riproporre la scuola come momento centrale di crescita. Se essa si riduce a un fatto marginale o peggio a un luogo nel quale si va per riproporre i modelli mafiosi esterni, è chiaro che viene meno al suo ruolo”.
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