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“Basta pregiudizi, anche in Calabria si può fare”

Di Bruno Arcuri il . Calabria, Dai territori

Non lo mettiamo assolutamente in dubbio: in Calabria non ce la passiamo per nulla bene. Tanti sono i problemi che affliggono la nostra terra, primo fra tutti quello della criminalità organizzata che crea condizioni di sottosviluppo, di illegalità, di mancanza di giustizia. A questo si aggiunga, come conseguenza o causa, non so ben dire, la disoccupazione, il clientelismo, l’affarismo, la corruzione, l’individualismo e chi più ne ha più ne metta.

Eppure, oltre a questi macroscopici difetti, la Calabria è anche altro. E’ una terra ricca di persone perbene, che lavorano seriamente e con onestà; è una terra caparbia, fatta di uomini e donne spesso umili ma coraggiosi, che nel corso degli anni sono stati costretti a girare in lungo e in largo per il mondo, col solo scopo di far arrivare qualcosa alle mogli e ai figli; è la terra di Rocco Gatto, di Ciccio Vinci, del giudice Scopelliti.

E’ una bella terra, nella quale è bello vivere, lavorare, sognare.

Proprio per questo, e per molto altro ancora, dispiace vedere come non ci sia una comprensione seria ed approfondita del “Calabria”, che a molti appare più simile alla mitica frontiera americana che non ad una regione che si colloca all’interno dell’Europa.

Lo sappiamo tutti che vivere in Calabria è più difficile che altrove. Lo sappiamo e lo abbiamo già detto . Ma si deve abbandonare quella visione romantica e, per alcuni versi romanzata, che ci vuole cittadini di una terra barbara, incivile, con usi e costumi antiquati e arcaici. Un mondo a metà strada fra le terre sconosciute dell’oriente esplorate da Alessandro Magno e le immagini di briganti alla macchia in boschi sterminati e cupi.

Questa visione non rende giustizia ad un popolo che sta cercando, con fatica e sofferenza, di creare qualcosa di buono.

Lo ha fatto a Lamezia quando, in seguito ai famosi eventi che hanno colpito la famiglia Godino, tutta la città si è stretta attorno ad alcuni suoi figli. E’ stato bello assistere, per la prima volta in Calabria, ad una serrata dei commercianti che volevano manifestare la loro solidarietà nei confronti di chi era stato ingiustamente colpito. E’ stato bello vedere 5000 persone in piazza a urlare forte il proprio no alla paura, all’omertà, alla sopraffazione. Tutti sappiamo che queste azioni non sono risolutive; ma sono importanti, e per tutta una serie di motivi.

Innanzitutto perché danno speranza: la speranza che ci sia un futuro, che qualcosa possa cambiare. Poi la speranza di poter restare, di poter costruire dei percorsi di sviluppo, di non dover essere costretti a partire di nuovo, come trent’anni fa. Poi perché testimoniano che anche in Calabria esiste una società civile. E sì, anche nel profondo sud c’è chi ha voglia di dire la sua, di partecipare, di costruire. Magari non è come in altre regioni, magari è più debole e frammentata, magari si manifesta in forme carsiche, ma c’è.
Voglio dirlo con forza: la Calabria non è una terra di gnomi e folletti, di draghi e fate. E un luogo di dolore e sofferenza, di gioia e allegria, di tarantelle e di morti ammazzati, di fiumare e politici corrotti, di studenti e montagne bellissimi, di mari splendidi e sanità malata. Come tutte le altre regioni d’Italia.

Ecco: vorrei che si guardasse alla Calabria in questi termini: come una regione normale, con i suoi pregi e i suoi difetti, coi suoi punti di forza e di debolezza. E questa nuova lettura della Calabria deve essere fatta propria dai media i quali, troppe volte, focalizzano la loro attenzione sulla parte, piuttosto che sul tutto, non riuscendo a dare un’immagine globale coerente e seria. La Calabria va riscoperta e analizzata sotto una nuova luce: basta coi sensazionalismi, con le frasi fatte e vuote; basta con lo stupore nei confronti di chi decide di restare, di chi è ottimista, di chi “ci crede”.

E basta, soprattutto, con l’idea delle Calabria come una terra di “emergenze”: ambientali, criminali, sanitarie. Basta coi riflettori che si accendono solo quando bisogna vendere qualche copia in più o aumentare l’audience. Basta. Chiedo a tutti di venire in Calabria più spesso, di andare a scavare nell’animo profondo di questa terra, ma con serietà e con una mente sgombra da pregiudizi e luoghi comuni. Chi opererà in questo modo troverà tante cose interessanti da raccontare. Troverà la Comunità Progetto Sud, il Centro Don Milani, troverà tanti esempi di politici bravi e capaci, di giovani disposti a lottare. Troverà tanto coraggio.

Questo richiesta, però, va indirizzata anche, e forse soprattutto, ai calabresi. Anche noi, in questa situazione, abbiamo le nostre responsabilità. E’ arrivato il momento di finirla con i piagnistei e le lamentele: bisogna mettersi a lavorare seriamente per ricostruire un tessuto sociale, politico ed economico capace di dare risposte. Ognuno, in questo quadro deve fare la sua parte: la politica, le associazioni, la magistratura, gli uomini e le donne, i giovani, la Chiesa, l’università e la scuola. Tutti.

Dobbiamo dire a voce alta che anche noi siamo “normali”, che anche qui si può vivere, che anche qui si può fare bene e seriamente il proprio lavoro. Senza una riscossa, senza una presa di coscienza dei molti aspetti positivi (e non mi riferisco, ovviamente, al peperoncino, al mare, al sole, temi stereotipati e abusati!) che la Calabria presenta, non è possibile aspettarsi null’altro se non banalità, luoghi comuni e, spesso, giudizi faziosi e volutamente falsi.

E allora forza. Bisogna darsi da fare.

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