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Il codice “religioso” dei pizzini

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

Niente scandali, nè prese
di posizione. Nessun richiamo dal pulpito. Nelle omelie non si colgono
cenni, la Chiesa stavolta, tranne qualche eccezione, pure importante,
un nome per tutti è quello di don Luigi Ciotti, preferisce il silenzio.
In questo campo non ci sono ingerenze né pretese a dettare la dottrina.
Il fatto? Questo: se i mafiosi si scambiano opinioni e fanno circolare
gli ordini attraverso i famigerati «pizzini», scambiandosi alla fine
dei loro scritti reciproche benedizioni in nome di questo o quel Santo,
o se dialogano attraverso l’uso delle Bibbie, la qualcosa pare che non
suscita partiocolare indignazione. Eppure sembra che il frasario religioso,
l’utilizzo delle Sacre Scritture, sia diventato per i boss un modo sicuro
per riuscire a dialogare e mandare messaggi all’esterno senza paura
di essere «capiti» da chi «non deve capire». 
L’ultimo caso riguarda capi mafia della provincia, Andrea Manciaracina
di Mazara. Dal carcere, dove si trova recluso al 41 bis, periodicamente
ha mandato delle Bibbie ai suoi familiari, nella casa dove si trova
agli arresti domiciliari il padre Vito, vecchio patriarca della mafia
mazarese: testi che sono stati ora sequestrati e sono risultati sottolineate
in alcune pagine. Lui, tranquillamente, dal carcere ha potuto fare uscire
i testi ed ogni volta si premurava a ordinarne nuove copie che puntualmente
gli venivano consegnate. 
Manciaracina è detenuto dal gennaio 2003, da quando è stato arrestato
dopo una lunga latitanza. È l’uomo che negli anni ’80, nonostante l’allora
giovane età, ebbe modo di chiudersi in una stanza della hall dell’Hotel
Hopps di Mazara per parlare faccia a faccia con l’allora ministro degli
Esteri Giulio Andreotti, di cosa mai si è saputo; fuori a vigilare
che nessuno entrasse c’era l’allora sindaco Zaccaria. 
Per gli inquirenti l’utilizzo della Bibbia da parte di Manciaracina
rappresenta una condotta identica a quella che avrebbe utilizzato il
vecchio padrino corleonese Bernardo Provenzano. Con lui Mangiaracina
ha in comune la lettura della Bibbia e la sottolineatura di molte parti
del Vecchio testamento. A Manciaracina, come pure a Provenzano, a dicembre
è stato inasprito il carcere duro previsto dal 41 bis del codice penitenziario.
Ad entrambi è stato applicato per 6 mesi il 14 bis che restringe ancor
di più la detenzione che prevede l’isolamento in una cella in cui è
vietata la televisione, la radio portatile, l’armadio con ante e specchi.
Al detenuto viene lasciato il letto e un tavolo con lo sgabello. 
Ma il 41 bis pare che non sia stato di grande effetto in questi anni.
L’operazione «Igres» fece scoprire il capo mafia di Mazara Mariano
Agate che dal carcere riuscì a dialogare con l’esterno e mise d’accordo
mafia e ‘ndragheta per un colossale traffico di cocaina dalla Colombia.
In un «pizzino» sequestrato tra i tanti a Provenzano, ne venne trovato
uno a firma di Matteo Messina denaro dove questi gli dava contezza di
un suo contatto con Totò Riina sebbene quest’ultimo risultava al 41
bis. 
Sulle Bibbie sequestrate ai mafiosi (ce lo dice Francesco La Licata
dalle colonne de La Stampa) sono al lavoro equipe di specialisti. Qualcuno
di questi, ma nel caso di Provenzano, ha offerto una prima possibile
«lettura», “don Binu” avrebbe fatto ricorso alla prosa del Vecchio
Testamento «per apprendere l’arte del carisma e imparare parole che
lo facciano apparire al suo “popolo” un distillato di saggezza».
Insomma dietro nobili parole «rubate» alla Bibbia o ad altri testi
sacri si nasconderebbe un cifrario capace di impartire ordini all’intera
organizzazione. 
Ma con la parola «bibbia» i mafiosi appellerebbero una sorta di loro
«costituzione»: fino al 15 gennaio 1993 questo documento (scrive ancora
La Licata)  sarebbe stato posseduto da Totò Riina; arrestato,
finì, assieme alle carte prese per tempo dai boss dal covo di via Bernini
dove si nascondeva, nelle mani di Matteo Messina Denaro, che ne sarebbe
diventato custode. Delle carte come dei segreti.

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