La mafia? Agli Ordini
La zona grigia.
Professionisti al servizio della mafia
La Zisa editore
La mafia dei Riina, dei Bagarella, dei Brusca, quella delle bombe e delle stragi, della vio-lenta contrapposizione alle Istituzioni, è stata un’anomalia nella storia delle mafie italiane. Quella di Provenzano, ritmata da subdola e silenziosa coabitazione con lo Stato, ha rappresentato il ritorno a una tradizione che, storicamente, ha permesso alla mafia di sopravvivere ai tentativi di repressione dello Stato, all’affinamento dei mezzi di contrasto, alla crescita culturale della popolazione, grazie a una fitta rete di connivenze interne alle Istituzioni e ai gangli vitali della società civile. Un mondo esterno all’ala militare mafiosa capace di garantirne, in cambio di utilità di varia
natura, la sopravvivenza e il potere fino ad oggi.
Una zona grigia– questo il titolo del libro del giornalista Nino Amadore inizialmente licenziato come e-book online e ora acquistabile anche in versione cartacea – la cui indagine è necessaria per andare oltre la rappresentazione del rapporto mafia/società come una dicotomia tra vittime e carnefici e per esplorare l’universo dei professionisti che garantiscono fortune e impunità alla criminalità organizzata, pur non essendo, nella maggior parte dei casi, direttamente affiliati alle cosche.
L’accondiscendente partecipazione, a vario titolo, di professionisti – siano essi medici, economisti, avvocati, ingegneri, architetti – è sempre stata un importante tassello per mettere in relazione i capiclan mafiosi e il mondo finanziario. Un’intermediazione necessaria per arrivare all’assegnazione di appalti, per garantire una copertura durante la latitanza, soprattutto per “ripulire” e reinvestire i proventi delle attività illecite. Si tratta dunque di un problema da sempre presente che, sebbene non esattamente quantificabile, ha – ad oggi – riscontri numerici importanti, come dimostrato dai numerosi processi che vedono inquisiti i colletti bianchi e recentemente confermato dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.
Nino Amadore si confronta con un tema impegnativo e scivoloso mettendo in risalto alcune particolari storie, come il trasferimento a Busto Arsizio (Va) di interessi economici e attività facenti riferimento alla mafia gelese, capace di riciclare proventi illeciti grazie all’aiuto di professionisti locali. Oppure le vicende di Francesco Campanella da Villabate (Pa), fondamentale nel coprire la latitanza del boss Bernardo Provenzano e di Don Vito Ciancimino, il ragioniere che da Corleone fece strada come politico a Palermo – nominato prima Assessore ai lavori pubblici e poi Sindaco – diventando uno dei principali referenti istituzionali della mafia siciliana.
Storie che ricostruiscono con gli strumenti dell’inchiesta giornalistica e sulla base delle fonti giudiziarie i particolari interessi che hanno legato da tempo i mafiosi e la classe agiata dei professionisti. Quel concetto di “borghesia mafiosa” da molti considerato superato (ad esempio dalla Commissione antimafia presieduta da Roberto Centaro) e invece assolutamente avvalorato dall’evolversi di alcune inchieste giudiziarie che hanno messo in luce il forte legame tra le élite professionali e le cosche mafiose. Le modalità di reinvestimento e riciclaggio di capitali, che permettono alla mafia di infiltrarsi nelle realtà economiche del nord Italia e non solo, sono pilotate e organizzate da uno stuolo di professionisti che forniscono il know-how necessario alle cosche.
Amadore non si limita a un’analisi distaccata del fenomeno, ma si spinge a stigmatizzare esplicitamente il comportamento degli Ordini professionali nel momento in cui le connivenze tra criminali e liberi professionisti vengono a galla. Ovvero la diffusa tendenza a chiudersi in un corporativismo rigido e conservativo nell’istante in cui la necessità di sanzionare penalmente le malversazioni dovrebbe invece viaggiare parallelamente all’esigenza di biasimare eticamente le condotte dei propri associati.
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