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Comunicato del Cdr, Giornale di Sicilia

Cdr - Giornale di Sicilia il . Dai territori, Sicilia

Cos’è successo, al Giornale di Sicilia, tra Natale e Capodanno?
Nulla: il giornale è uscito come sempre, come avviene ogni giorno, da
due anni e mezzo a questa parte, nonostante gli scioperi per il rinnovo
del contratto e le proteste di carattere locale e nazionale. “Tutto a
posto”, dunque? No, perché in realtà era stato proclamato uno sciopero,
cui hanno aderito tutti i giornalisti dipendenti ex art. 1 in servizio
sabato 29 dicembre, meno cinque, e tutti i giornalisti con contratto a
tempo determinato, meno tre. Grazie a queste otto persone (su oltre
sessanta) il giornale è uscito nonostante lo sciopero. Ancora una
volta, così, viene confermato che “non ci fu niente”.
Invece qualcosa è successo.

È stata affrontata – e purtroppo persa – una battaglia su una questione
di principio fondamentale per la sopravvivenza, non solo della nostra
categoria ma del nostro stesso mestiere. Nulla a che vedere con
rivendicazioni salariali, con il contratto di lavoro che non c’è da
quattro anni, con richieste di miglioramenti nella vita o nelle
relazioni aziendali. La redazione ha reagito alla mancata pubblicazione di una notizia di
rilievo per Palermo e la Sicilia, il pentimento di un mafioso del clan
Lo Piccolo: al cronista che l’aveva portata, la notizia, la direzione
ha chiesto, come condizione per la pubblicazione, il virgolettato di un
inquirente o comunque una “conferma esplicita della Procura”. Quale sia il significato di quest’ultima espressione, quale sia la
differenza tra il virgolettato e la conferma esplicita, non siamo
riusciti a capirlo, nemmeno dopo due comunicati due della nostra
direzione, stavolta decisamente meno lucida nel manifestare la propria
abituale tracotanza. Al punto che, per cercare di svicolare, ha negato
di avere mai chiesto il virgolettato. Sta di fatto che la notizia due giorni dopo è uscita su un altro
giornale. E da noi – cosa che ha mandato in bestia quasi tutti – non
era stata pubblicata perché era stata posta una condizione impossibile:
il cronista infatti non potrà mai chiedere a un inquirente di
confermare con i propri nome e cognome una notizia teoricamente
riservata, né tanto meno si può chiedere a un rappresentante delle
Istituzioni il permesso di pubblicare le notizie di cui si è in
possesso.

Questo, lo crediamo con forza, è l’abc del nostro mestiere. La direzione ha persino sostenuto che il cronista avesse portato una
notizia “incompleta”, priva delle necessarie conferme: strano, perché
tutto l’apparato di vertice del giornale – quello, per intenderci, che
poi ha vanificato lo sciopero – aveva ritenuto la notizia completa e
confermata, tant’è che l’aveva fatta mettere in pagina, ed era anche
bell’e titolata, con ampio spazio pure in prima. Alle sette e mezza
della sera si è scoperto che era incompleta.
Noi non contestiamo che il direttore abbia il potere di pubblicare o
non pubblicare ciò che portiamo.

Per carità: per contratto il direttore
deve assumersi le proprie responsabilità e fare delle scelte precise.
Quello che non può assolutamente fare è ripararsi dietro scuse o
chiedere il permesso a qualcuno per farsi autorizzare alla
pubblicazione. Né può invocare principi di rigorosissimo rispetto delle
regole sulla segretezza delle indagini, per poi affermare che, una
volta che le notizie sono uscite su altri giornali o dopo che le hanno
date le agenzie, si possono pubblicare, perché tanto il segreto, dal
punto di vista sostanziale, è venuto meno… A parte che dire queste cose al lettore è come invitarlo a comprare
direttamente gli altri giornali, visto che si sceglie istituzionalmente
e per principio di giocare di rimessa, ergersi a paladini della
“civiltà deontologica” (altro concetto che – ma è di certo colpa nostra
– non riusciamo ad afferrare) può voler dire che il cronista che porta
la notizia scomoda e che cerca di farsela pubblicare sia un
rappresentante dell’inciviltà antideontologica e un ingombrante
rompiscatole.

Al Giornale di Sicilia i redattori sono ancora attaccati alla maglia e
hanno grande spirito e orgoglio di testata, si incazzano – ci si faccia
passare il termine – se prendono un buco e affrontano ogni giorno
enormi sacrifici, spesso andando ben oltre orari e impegni contrattuali
e senza altri guadagni che quelli salariali ordinari. La direzione non
si interroga sui disagi, non cerca di capire le cause delle tante
aspettative e preferisce fidarsi e affidarsi a capi e vice
capiredattori e capiservizio, fra i quali ci sono gli otto che fanno
uscire il giornale anche durante gli scioperi e che sono tra coloro che
ricevono anche cospicue gratifiche.

Questi colleghi si vantano di ragionare con la propria testa, di essere
autonomi e di non farsi condizionare dal sindacato “massimalista e
comunista” e nessuno esclude che siano veramente spiriti liberi: in
maniera estremamente singolare, però, le loro idee libere coincidono
sempre e invariabilmente con quelle della direzione. Se c’è lo sciopero
nazionale, dissentono dallo sciopero nazionale. Se c’è lo sciopero
aziendale, dissentono dallo sciopero aziendale. Se c’è una questione
tra un collega e la direzione, sposano la causa della direzione. Non si
fermano nemmeno di fronte a questioni di principio, a diritti
individuali e collettivi, a questioni che riguardano posizioni
personali dei giornalisti e la professione: hanno sostanzialmente
disarmato il sindacato e così, con freddezza, cinismo e calcolo hanno
aumentato il proprio peso, perché al direttore-editore hanno dimostrato
che il giornale, grazie a loro, si può fare anche in otto.

E poco importa che quello del 30 dicembre sia stato un giornale
infarcito di pubblicità, dai contenuti giornalistici risibili, privo di
alcune edizioni provinciali, salvato dall’anticipazione di uno speciale
pubblicitario di fine anno.
L’importante era non dirlo al lettore. E fare finta che, come sempre, sia stato “tutto a posto”.

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