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Alla ricerca dell’informazione perduta

Roberto Morrione il . Dai territori, Informazione, Società

“Qui i cronisti sono inviati di guerra”.

Arnaldo Capezzuto è un giovane bruno, smilzo, volto furbo che ricorda il Pacino di “Quel pomeriggio di un giorno da cani”. Ha scoperto che i familiari di un noto killer della camorra vivono abusivamente in una scuola pubblica e ne ha scritto su un giornale napoletano. E’il suo mestiere, fatto con passione e occhi acuti, niente di più. Da allora riceve minacce di morte, deve guardarsi le spalle, gira per i “quartieri” dove è nato come su un territorio nemico. Una storia fra le tante che noi di Libera Informazione abbiamo incontrato in uno dei nostri seminari nei “territori occupati”.

Arnaldo ce la racconta, metafora di una impossibile quanto normale condizione di vita, nella sede dell’anti-racket che Tano Grasso sta pazientemente consolidando a Napoli.

Sette appuntamenti in due mesi per la piccola squadra di Libera Informazione: da Polistena a Lamezia, nelle province dominate dalla ‘ndrangheta, a Casal di Principe e al capoluogo campano, terre di camorra cosparse di rifiuti, tangenti, appalti truccati, morti ammazzati, fino ai fiumi “carsici” di Cosa Nostra che scorrono sotto traccia a Palermo, Catania, Trapani. Milioni di euro frutto di paura, corruzione, violenza, ignoranza, indifferenza. E con essi la libertà e i diritti di un popolo, nel vuoto lasciato dal lavoro che non c’è, da un futuro incerto, dalla crisi dei capisaldi di formazione dei cittadini, come la scuola e la cultura, da un modello di vita che con il consumismo appiattisce aspirazioni, ideali e diritti, da istituzioni politiche e civili passivi testimoni e sempre più complici dell’illegalità.

Potremmo chiamare il nostro viaggio “ alla ricerca dell’informazione perduta”. Un viaggio spesso amaro, per farsi conoscere, ma ancor prima per conoscere, per capire. Così, con l’aiuto appassionato dei referenti di Libera, dovunque attivi e credibili, abbiamo prima selezionato la partecipazione, su terreni ambientali colmi di rischi di “contaminazioni” , poi ascoltato, discusso, progettato. Cronisti di diverse generazioni, alcuni collocati in redazioni strutturate nel mercato editoriale, molti precari o volontari, insieme con associazioni della “società civile”, siti Web, radio e TV locali. Ne siamo usciti ogni volta più consapevoli della complessità dei compiti di Libera Informazione, con il senso di altissimi muri incombenti, ma anche seminando qualcosa per alimentare speranze e opportunità di nuovi varchi, di alternative da tracciare e, soprattutto, da percorrere insieme.

In ciascuno dei seminari abbiamo avvertito solitudine e frustrazione, come a volte reciproche incomprensioni, personalismi propri di chi nell’assenza di risorse, di fronte ad avversari troppo potenti, tende a difendersi chiudendosi in se stesso, valorizzando solo ciò che è in grado di costruire direttamente, non percependo il valore aggiunto dell’unione fra forze troppo deboli se isolate, non in grado di incidere in modo significativo sull’opinione pubblica. E che gli avversari della legalità siano potenti, spesso egemoni sul terreno della comunicazione, risulta fin troppo chiaro. Ovunque si moltiplicano e condizionano censure, limiti, silenzi imposti dall’alto, che a loro volta generano dubbi e auto-censure, il vero, antico nemico della libertà di stampa.

Una miriade di casi ed episodi denunciati da giovani il cui entusiasmo e la cui determinazione a cercare la verità sono frustrati e battuti dalla precarietà del lavoro, dallo sfruttamento di un sistema che, quando retribuisce e non impone apporti volontari, lo fa con tre, cinque euro a servizio, o con turni massacranti, fatti inoltre di routine a esclusione di proposte d’inchiesta, di approfondimenti per illuminare punti oscuri della realtà e le complicità a ogni livello. “Non c’è la notizia” o “Su questo non possiamo andare…” sono risposte usuali da parte di un caposervizio o di un direttore in redazioni grandi e piccole nei territori.

Come denunciano Alessandra e Tina a Casal di Principe, Flavia e Maria Teresa a Lamezia, Laura, Massimo, Anna a Catania, o il vice-segretario di Assostampa a Trapani, Andrea Castellano. In un lucido e amaro intervento parla di una attitudine “a piegare la schiena” diffusa fra i giornalisti, ciò che provoca disprezzo nel potere editoriale e fra gli stessi politici che ne sono i costanti referenti, che si vedono garantiti così silenzio e complicità. Fra i cittadini, come lettori o ascoltatori, aumenta intanto la mancanza di spirito critico, in un misto di disprezzo, indifferenza, mancanza di fiducia nell’informazione.

Ed emergono ovunque i vuoti e i condizionamenti imposti, nell’assenza di una vera competizione di mercato che porti a un effettivo pluralismo, dalla presenza prevaricatrice e accentrata di posizioni di monopolio connesse a vasti giri d’affari e di potere, come quella dell’editore de “La Sicilia”, Mario Ciancio.

Si arriva così a impedire la diffusione a Catania e in altre province della Sicilia orientale della pagina di cronaca siciliana de La Repubblica, giornale stampato proprio nel centro poligrafico catanese di proprietà di Ciancio. Quale patto segreto e quali interessi legano due realtà editoriali così culturalmente diverse, a scapito della competizione e quindi della qualità e della completezza dell’offerta informativa? L’idea di andare fino in fondo al quesito, coinvolgendo le rappresentanze nazionali dei giornalisti, l’università, i due gruppi editoriali, con un convegno organizzato proprio a Catania, si consolida nel seminario, per iniziativa soprattutto di Dario Montana, intelligente e attivo referente di Libera.

Ancora una volta il sistema di connessioni e coperture fra i clan, le famiglie, singoli esponenti del mondo criminale e vasti strati e ambienti della politica locale e delle amministrazioni, senza sostanziale distinzione fra i diversi segni dei partiti, appare, in forme diverse, l’ombrello di copertura del vuoto informativo nei territori. Dall’egemonia dei padri-padroni dell’informazione, che dominano incontrastati carta stampata, emittenza televisiva, radio locali, determinando ciò che deve o non può diventare notizia, fino alla presenza di fogli direttamente influenzati da poteri criminali, come è avvenuto in episodi che hanno riguardato due giornali del casertano, il Corriere di Caserta e la Gazzetta di Caserta, (lo ha denunciato in modo documentato il referente di Libera Raffaele Sardo), è l’autonomia e la capacità di descrivere la realtà senza omissioni, slalom o superficialità di comodo che sono sistematicamente colpite.

Soprattutto quando una luce correttamente accesa porterebbe il giornalista a descrivere ruoli anomali, contiguità affaristiche, amicizie inquietanti, collusioni di esponenti politici e imprenditoriali all’insegna sempre del voto di scambio, quanto frequentemente di una corruzione che non è mai cessata.

Concordi su questo allarme sono gli interventi e le denunce, a volte amaramente autocritiche per la “categoria” e lo strapotere degli editori, da parte di generazioni di cronisti organicamente inseriti nelle redazioni presenti sul mercato e che a volte pagano pesanti prezzi personali in termini di rischio fisico e di carriera. Da Mario Meliadò ad Attilio Sergio a Polistena, ad Enzo Palmesano a Casal di Principe, da Vito Faenza a Daniela De Crescenzo, Chiara Marasca, Maurizio Cerino, Renato Rocco a Napoli, da Chiara Spagnolo a Lamezia a Dino Paternostro, Salvo Vitale, Telejato a Palermo, da Riccardo Orioles, Graziella Proto, Renato Camarda a Catania a Aldo Virzì e Rino Giacalone a Trapani. Dall’inviato dell’Avvenire, Toni Mira, la testimonianza di un giornalista di prima linea che ha dedicato il suo impegno sui temi della legalità e del contrasto alle mafie.

In questo quadro inquietante, il ruolo che dovrebbero avere la programmazione, l’iniziativa giornalistica e il peso culturale di massa del Servizio Pubblico della Rai, è emerso come uno dei punti cruciali, ma più deboli del sistema informativo. Numerose sono state le descrizioni dei vuoti, delle opportunità mancate o volutamente eluse dai palinsesti nazionali e dalle sedi regionali della Rai, accentrate e ben distanti dai reali problemi e dalle complesse realtà territoriali.

Dove non mancano peraltro forti potenziali professionali ancora spendibili, se la Rai uscisse dalla sua perenne crisi di gestione e di scelte editoriali condizionate in modo improprio dal collateralismo al potere politico e dall’antica lottizzazione. Avendo sullo sfondo la questione centrale del conflitto d’interessi e i vergognosi scandali emersi nel rapporto perverso con Mediaset, la centralità di una vera riforma del Servizio Pubblico, oggi praticamente impaludata nel programma del governo, resta un obiettivo essenziale di qualsiasi battaglia di partecipazione e di rilancio dei valori di legalità.

La attiva presenza ad alcuni seminari di professionisti del Servizio Pubblico, Pietro Melia in Calabria e un gruppo di giornalisti molto qualificato a Palermo, come Giuseppe Crapanzano e Roberto Ruvolo. guidati dal direttore della sede e antico cronista di punta Salvatore Cusimano, dimostra che c’è e va aiutato nella Rai quello che Cusimano ha definito forse eccessivamente, ma con la forza dell’auspicio, “un vento di rivolta”…

E infine abbiamo incontrato la realtà variegata e complessa dei “giornali antimafia” e di informazione sociale, dei tanti siti Web, dei free lance, dei blog, di piccole radio libere, di associazioni e gruppi della società civile, da grandi organizzazioni come la CGIL e la Lega Ambiente alla realtà giovanile antiracket di “Addio Pizzo”, alla quale si deve in gran parte l’impennata etica e civile della Confindustria siciliana, a esponenti delle università, che su questo fronte, soprattutto in Sicilia, stanno conoscendo un interessante risveglio di elaborazione.

A partire da chi non ha mai piegato l’antica bandiera di combattimento, magari un po’ logora dopo tante lotte e campagne di denuncia, alcune vinte e molte perse, come “Casablanca” di Riccardo Orioles, che con coraggio tiene vivo a Catania fra enormi difficoltà finanziarie e distributive l’esempio non dimenticato dei “Siciliani” di Pippo Fava. E al suo fianco camminano faticosamente periodici come “L’isola possibile” e voci nuove dai quartieri più degradati a forte presenza mafiosa, come “La Periferica”.

Creare alternative editoriali, sviluppare le tecnologie multimediali, con i connessi, enormi problemi di reperimento delle risorse necessarie e allargare gli spazi esistenti di iniziativa, creatività e autonomia, appaiono dunque risposte difficili, ma possibili oltrechè necessarie, a partire da un concetto nuovo che può e deve imporsi: quello di cominciare finalmente a “fare rete” e a lavorare insieme su obiettivi e percorsi comuni.

Questi sono stati i primi mesi di Libera Informazione sui territori, un accavallarsi fra Novembre e Dicembre di sensazioni, volti, iniziative, progetti, analisi disperate e idee lanciate con passione e un pizzico di utopia, per spezzare l’opportunismo e l’indifferenza.

Fra i tanti volti di questo primo viaggio, emblema di una volontà dello spirito e della passione civile che può prevalere anche sulle peggiori difficoltà e perfino sulla malattia, è ben fisso nella mia memoria quello di Emma Leone, la corrispondente di Libera e di Progetto Sud, inchiodata sulla sua carrozzella a Lamezia sotto la maschera ad ossigeno che le permette di vivere, ma indomabile punto di riferimento, attraverso Internet e il telefonino, per tutti coloro che operano nel sociale dalla parte della democrazia, dei diritti, della solidarietà.

Un nuovo fiume si sta già formando in contributi da ogni singolo territorio toccato, articoli, denunce, programmi di manifestazioni, che liberainformazione.org e il nostro spazio su articolo.21.info raccolgono e rilanciano, mentre si profilano organiche iniziative di formazione per gli insegnanti e gli studenti della Regione Lazio, la costruzione di pezzi di rete radiofonica e web-radio dal Nord al Sud, a partire da Libera Radio di Radio Città del Capo a Bologna, la costituzione di archivi e iniziative di materiali video e multimediali.

E il nostro viaggio nel 2008 continua, a partire da nuovi seminari che stiamo organizzando a Potenza, a Gela, a Cosenza, a Taranto, a Bari. Poi ci dirigeremo al Centro-Nord, dove la “palma” metaforicamente descritta da Sciascia e Camilleri si è già radicata e dove, per il futuro della democrazia, è l’ora di tenere costantemente accesa la distratta e ondivaga luce dell’informazione.

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