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Contro il pizzo ora bisogna parlare e chiarire: Confindustria siciliana contro i silenzi

Di Roberta Serdoz il . Dai territori, Sicilia

Sono passati circa due mesi dall’arresto dei boss Lo Piccolo e dalla
decisione di Confindustria di espellere dall’associazione chi paga il
pizzo, due mesi di tensioni per quei commercianti e quegli imprenditori
con le mani legate al boss, due mesi di attese e speranza per i
magistrati palermitani che credevano di poter scrivere un nuovo
capitolo siciliano fatto di coraggio, dichiarazioni e fonti di prova
dettagliate.

Ci si aspettava una valanga di denunce e invece non è accaduto
nulla, dopo i primi giorni il muro dell’omertà e della paura si è
nuovamente alzato, nascondendo ancora una volta la realtà. Oggi è il
momento della verità: “chi tace va fuori” ha tuonato il presidente di
Confindustria Sicilia Ivanhoe Lo Bello.

I nomi scritti sui “pizzini” e sul libro mastro di Lo Piccolo sono
noti, le aziende citate sono state convocate dai vertici di
Assoindustria a Palermo per spiegare la loro posizione, per decidere
insomma se tenerli dentro o fuori.

Un’operazione complicata e molto delicata perché su quei pizzini ci
sono anche i nomi di chi ha sempre dichiarato di non aver mai pagato,
di chi ricopre ruoli importanti nell’associazione siciliana, di chi
insomma ha le mani in pasta. I processi sommari, però, sono il primo
rischio che non bisogna correre: determinazione e autosospensione, in
attesa dei tempi della giustizia, potrebbero essere la strada meno
difficile da percorrere per chi si trova in una situazione di poca
chiarezza.

Allo stesso tempo però non bisogna abbandonare chi, dal primo
momento, ha creduto in questa nuova era. Da qualche mese infatti, in
Sicilia si respira aria di legalità e cambiamento e, questa volta,
senza il bisogno di scuotere le coscienze con una strage. Sono molti
gli imprenditori e i commercianti che hanno alzato la testa e hanno
detto basta a Cosa Nostra. Da Palermo a Gela, da Catania a Trapani ha
vinto il coraggio, facendo recuperare energie ad una economia
paralizzata dalla mancanza di competitività.

La mafia fa meno paura, il che non vuol dire che il fenomeno è
stato sconfitto: anzi, oggi bisogna rimanere al fianco di coloro che, a
rischio della propria vita e di quella dei loro familiari, hanno deciso
di denunciare i soprusi.

I numeri parlano chiaro, l’aumento delle denunce in valori reali è
forte e la scelta di Confindustria di espellere chi è colluso con la
criminalità organizzata o paga il pizzo, da’ ancora maggiori energie.

A Palermo l’80% dei commercianti paga la cosiddetta “messa in
regola” a Cosa Nostra. Ma i nomi trovati sui pizzini e sul libro mastro
sequestrati nella villa, dove i Lo Piccolo verosimilmente stavano
preparando un summit, hanno comunque regalato agli investigatori una
mappa dettagliata degli affari della famiglia mafiosa. Tre milioni di
euro l’anno venivano incassati solamente dalle estorsioni: è con questi
soldi che si pagavano le parcelle agli avvocati, gli stipendi ai
picciotti, agli estorsori di professione, alle famiglie dei
carcerati.Notizie ora nelle mani degli investigatori: un danno
irreparabile per Cosa Nostra, una forza inaspettata per la società
civile. Un grande siciliano, Andrea Camilleri, paragona il pizzo ad una
sanguisuga “che viene applicata con forza, con violenza, su un corpo
vivo. E questa sanguisuga fa il mestiere suo: succhia sangue. Sangue
che potrebbe essere impiegato per lo sviluppo di nuove aziende”.

Il pizzo ferma, blocca il libero mercato, penalizza qualsiasi
iniziativa: ora si sa e non ci si può nascondere dietro un dito. La
storia nasce l’estate scorsa quando la fitta rete di picciotti, che
controllano i pagamenti sul territorio, alza il tiro. A Catania Andrea
Vecchio, un imprenditore edile con 250 dipendenti, ha subìto quattro
attentati in quattro giorni; nelle stesse ore Marco Venturi, 45 anni,
geologo perfezionatosi negli Usa e in Finlandia, amministratore di un’
impresa tecnologica specializzata in sofisticate ricerche geologiche,
subisce gravi minacce. E’ la goccia che fa traboccare un vaso già
colmo. La scommessa viene lanciata da Antonello Montante, presidente
degli industriali di Caltanissetta che, propone di deliberare in giunta
a Confindustria l’allontanamento di chi paga il pizzo alla mafia.
L’annuncio colpisce nel segno, lo stesso Montezemolo sottoscrivere
l’iniziativa. E’ la prima volta che le associazioni degli industriali
siciliani si oppongono a Cosa Nostra.

Il presidente Lo Bello, integra l’accordo con l’introduzione di un
codice etico che riconosce fra i valori fondamentali “il rifiuto di
ogni rapporto con organizzazioni criminali che fanno ricorso a
comportamenti contrari alle norme di legge e alle norme etiche per
sviluppare forme di controllo e vessazione delle imprese e dei suoi
collaboratori che alterino la libera concorrenza”. L’immagine che
racconta la campagna è di grande impatto: uno stivale, l’Italia,girata
al contrario con un grido “Anche a Sud c’è il Nord”. La voglia di
trasformare l’economia locale in una leva di crescita sociale e di
traino delle altre economie del Mediterraneo è insormontabile e
solamente riducendo lo strapotere mafioso tutto diventa possibile.
Combattere la mafia per sconfiggerla, fermare l’irreparabile, ovvero la
legalizzazione di Cosa Nostra all’interno delle aziende. La mafia,
infatti, da alcuni anni tende a “farsi impresa”, ha attuato il
cosiddetto “salto di qualità” entrando nella gestione diretta
dell’azienda. Un’ulteriore distorsione del mercato, già penalizzato
dall’imposizione di forniture, mezzi e uomini, non sarebbe gestibile ne
sopportabile: per Lo Bello “una mafia che non compete ad armi pari è un
pericolo che deve essere evitato”. Stare accanto a chi il coraggio non
vuole chiuderlo in una busta contenente denaro contante da destinare a
Cosa Nostra è la mossa vincente, anonimato e tutela della famiglia
sostengono più di una macchina di scorta. Accendiamo le luci in faccia
a chi quelle buste le ritira ogni mese, non ad altri.

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