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Il miglio mancante dell’Informazione

Di Norma Ferrara il . Sicilia

E’ un po’ bianca e un po’ nera, è la moderazione di ogni colore. E’ l’informazione a Trapani. A parlarne, nel seminario di Libera Informazione lo scorso 21 dicembre presso il polo universitario della città, molte firme del giornalismo trapanese e associazioni impegnate sul territorio.

“Un presente, quello dell’informazione che – commenta Andrea Castellano dell’ Assostampa Trapani – ha raggiunto in questi anni il suo punto più basso; dagli anni ’80 ad oggi c’è stato un lungo declino e noi giornalisti, non siamo ancora riusciti a risalire”. E’ articolata, lucida e franca, l’analisi che Andrea Castellano mette sul tavolo del dibattito e non lascia spazi di autocommiserazione ma parla dei veri problemi che tormentano la categoria giornalistica della provincia.

A partire da una sorta di abusivismo che costringe moltissimi giovani a lavorare senza garanzie e senza contratto per anni, passando per le lacune di una formazione veloce che li manda allo sbaraglio ad affrontare realtà complesse com’è quella della provincia più impenetrabile d’Italia. Scarseggiano le parole e non c’è un’analisi critica e di fronte a questo i fatti spariscono e quando a raccontarli è una testata nazionale si reagisce con fastidio ed indignazione (com’è accaduto dopo la puntata di AnnoZero qualche mese fa).

Bisogna invece raccogliere la sfida di ancorare la cronaca ad una memoria storica quotidiana che spieghi il contesto, come ribadiscono con forza il senso e la lucidità dell’intervento di Vincenzo Figlioli, giornalista del mensile Quarto Potere per la zona di Marsala. Ed è proprio parlando della realtà trapanese che si riaprono lentamente alcune ferite. “Questa è la provincia dove la mafia ha dato i natali ai Salvo – sottolinea Aldo Virzì, ex corrispondente de L’Ora di Palermo – questo è il luogo in cui Cosa nostra ha ragionato con la politica.

E’ qui sotto i nostri occhi la responsabilità di quello che la mafia è diventata. E noi nel frattempo abbiamo giornalisti che fanno un giornale, lavorano per l’ufficio stampa di un partito ma contemporaneamente anche per quello di fede politica opposta”. In città molte cose com’è ovvio si sanno, il problema è che non si possono dire pubblicamente. Perché se ieri la mafia sparava o intimidiva fisicamente i cronisti oggi ha affinato le armi e denuncia.

Quando poi è al potere lo fa per conto delle istituzioni e i cittadini pagano economicamente il conto di cause giudiziarie che i loro rappresentanti intraprendono proprio per privarli di un’informazione libera; le testate condannate a pagare sono costrette a chiudere. “Informazione che, sottolinea con forza il presidente di Libera Informazione, Roberto Morrione, stiamo mettendo in rete anche qui a Trapani, proprio con l’ obiettivo di restituirgli il suo spazio per riportare ai primi posti dell’agenda nazionale l’informazione sulle mafie; per esempio oggi il Corriere della Sera, si occupa solo a pagina venti e in un taglio basso dell’arresto del re dei supermercati Giuseppe Grigoli, prestanome di Matteo Messina Denaro”. Fra mancanze e lacune pesanti non passa in secondo piano quella degli editori, a Trapani assenti o inesistenti.

Ci sono giornali che nascono e muoiono nel giro di una tornata elettorale, “editori disinteressati all’informazione e una politica interessatissima e imbavagliata fa il resto – commenta Gianfranco Criscenti del Giornale di Sicilia – e le telefonate in redazione arrivano molto spesso ma si prova a scrivere lo stesso andando avanti da anni ormai con i soliti otto euro ad articolo”. Tutto questo ha un costo, personale e collettivo. Croniste come Chiara Putaggio, lo hanno raccontato senza filtro. “Mi sono fatta l’idea che alcuni quartieri poveri dalle mie parti (Marsala, ndr) siano voluti, siano il serbatoio di voti politici senza i quali il sistema non potrebbe andare avanti.

Ho provato a denunciarle, a partire dalla condizione fatiscente degli edifici scolastici. Ma dall’altra parte non si rispetta l’autonomia del nostro mestiere e in troppi pretendono di controllare quello che scriviamo”. Giornalisti due volte vittime del disprezzo: dei lettori e della politica, tanto che quest’ultima si rivolge ad una giornalista dicendole “tu non conti niente”. Una grossa menzogna perché se la politica cerca di controllarli è proprio perché ancora li teme e la presenza di una sola tv, centro di informazione monopolistica sulla città, ne è l’esempio più concreto.

Li vedi, li ascolti gli operatori dell’informazione e ti rendi conto che nella rabbia che accompagna la richiesta di cambiare, manca sempre qualcosa. Ed è quel miglio che la professione giornalistica da queste parti non riesce a percorrere, quello dell’affermazione piena e indiscussa dell’autonomia della professione. Ed è da questo che in molti (quasi tutti, giornalisti anche di uffici stampa) sembrano voler ripartire anche per risvegliare questa società trapanese a cui “se non si forniscono gli strumenti per pensare non si può pretendere che lo faccia”, come sottolineano nei loro interventi Rino Marino (associazione Città Futura) Margherita Asta e Giuseppe Gandolfo di Libera Trapani.

E poi c’è un’altra Trapani ed è quella che passa anche attraverso il silenzio di chi ascolta il dibattito senza intervenire. Lui si chiama Gianni Di Malta e non è uno qualunque qui a Trapani. Ieri cameraman di Rtc oggi immerso nel suo spendersi quotidiano con i ragazzi della comunità Saman. Gianni, due occhi che parlano senza far rumore ma che disarmano, è un esempio di grande umiltà e rispetto per questo lavoro. In molti aspettano che la sigla di una nuova Rtc ritorni all’unisono nei condomini dei trapanesi, altri sperano che una nuova primavera fatta di nuove leve motivate ma anche di giornalisti come Salvatore Mugno e Giacomo Pilati possano ritornare a raccontare Trapani come ai tempi de Il Pungolo.

E mentre tutto questo manca, i giovani trapanesi non mollano. E quando non possono scrivere, parlano. Quando non possono parlare le loro denunce le mettono nella musica, nell’arte. Per una Trapani che alla sua libertà non rinuncia, che cerca continuamente un posto dove la “longa manus” della politica non arrivi. Gli affari, si spera, nemmeno. Un angolo da cui percorrere quel miglio mancante dell’informazione e poter raccontare le persone e i fatti dietro le notizie, nonostante le mille contraddizioni che pure ne rendono minato il percorso.

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