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Calabria, il protocollo legalità in mano a un dirigente indagato

Di Mario Meliadò il . Calabria, Dai territori

Una terra di paradossi. Taurianova, Calabria. E’ quella terra che ha dato i natali al prode Agostino Saccà. Già direttore di Raiuno, attualmente direttore di RaiFiction, Saccà è ispiratore di sceneggiati in salsa bruzia tipo Gente di mare, oppure L’uomo che sognava con le aquile, per non parlare di Ma il cielo è sempre più blu. Ancor più attualmente, Saccà è direttore autosospeso. La vicenda è quella nota come “caso Berlusconi” e riguarda tutta una serie di devoti funzionari di mamma Rai che, dicono i soliti maligni, sarebbero stati devoti sì, ma al Cavaliere e alla causa di Mediaset, duopolista con tendenze a inglobare il competitor, scomodo per il solo fatto di esserci.

Saccà si autosospende, sì. Una decisione spontanea come poteva esserlo quella di dare ampia fiducia alle agenzie di rating, dopo il crac dei mutui subprime… «Mi sembra chiaro che, data la situazione, il dottor Saccà non può continuare a svolgere la sua attività»: è la frase, in stile-epitaffio da 110 & lode che manco Spoon River…, con cui il presidente della tv di Stato Claudio Petruccioli condannava l’Agostino nostro (senza processo e) senza appello, dopo l’avviso di garanzia pervenuto al direttore di RaiFiction. Il garantismo, in questo caso, non vale e il direttore di RaiFiction ha dovuto congelare la sua posizione di vertice.

Ma torniamo in provincia di Reggio Calabria. Anzi, siamo proprio nel capoluogo di provincia, giorno 14 dicembre. A Palazzo Campanella, il governatore calabrese Agazio Loiero firma un Protocollo per la legalità col Superprefetto di Reggio Calabria, Franco Musolino.
Dietro la criptoburocrazia parolaia (tipo «incrementare l’efficienza, l’interoperabilità…»), al succo ci sta l’ennesimo protocollo. Che, sotto l’egida della legalità – a parole, onnipresente da queste parti – prevede una «piattaforma virtuale» per fare interagire cittadini e istituzioni locali ai fini di migliorare la qualità dei servizi. E il «potenziamento delle sinergie»  tra gli uffici delle 5 Prefetture, gli Enti locali, le amministrazioni periferiche e la Consulta regionale antimafia, specialmente per opere e appalti, ambiente, utilizzo fondi pubblici e attuazione delle norme sull’uso dei beni confiscati.

Il tutto, in soldoni (pubblici, appunto) costa un milione di euro, per un anno.
Be’, certo, anche se il Superprefetto è uno, poi le Prefetture sono cinque… e 70mila euro servono per avviare la fantasmatica «interoperabilità», ovviamente.
Mah.

Certo, le istituzioni in una terra a così forte rischio-‘ndrangheta ci avranno pensato bene, a chi far gestire una posta di bilancio così emblematica. Talmente emblematica da essere inserita nel capitolo di spesa relativo all’accordo di programma quadro che prende il nome da Antonino Scopelliti, il magistrato della Corte di Cassazione ucciso per volontà di Cosa Nostra a Campo Calabro, nel ’91.

E in effetti i criteri parlano chiaro: a gestire questo milioncino di euro e l’intero Apq “Scopelliti” sarà uno che su fondi pubblici e appalti pare saperla lunga, e che presumibilmente di milioni di euro ne gestisce parecchi: il capo del Dipartimento regionale Attività produttive (il relativo Assessorato è appena transitato nelle mani di Francesco Sulla, baffuto esponente crotonese del Pd).

Meno male.
Senonché…

Se il sonno della ragione genera mostri, la cultura del sospetto cosa genera? Be’, chiedetevelo.
Intanto che vi date una risposta affidabile, noi vi diciamo che il dirigente in questione si chiama Francesco De Grano. E forse questo nome vi dirà qualcosa.

Sì, ricordate bene. E’ lui.
E’ lo stesso dirigente regionale d’origini romane, già dirigente generale al dipartimento Fondi comunitari (posto-chiave oggi retto da Salvatore Orlando), raggiunto da uno dei 20 avvisi di garanzia inviati dal pm della Procura di Catanzaro Luigi De Magistris il 18 giugno scorso nell’ambito dell’inchiesta “Why Not?”, poi avocata dalla Procura generale. E allargando l’affare alla famiglia, per la verità, gli “avvisi” diventano due, visto che una seconda comunicazione d’indagine in quello stesso finale di primavera giunse alla sorella del dirigente regionale, Maria Angela De Grano, presidentessa della Fidapa di Vibo Valentia, socia della locale Associazione industriali, destinataria di vari incarichi in diverse società private.

Sarà il caso di ricordare quanto scritto da De Magistris nel decreto di perquisizione per l’accesso della polizia giudiziaria negli uffici e negli alloggi a Palazzo Campanella di alcuni consiglieri regionali: «Emerge una pervicace volontà di depredare le risorse pubbliche pur di raggiungere lucrosi interessi criminali (…) comuni colleganze affaristiche (…) tra società e persone riconducibili, anche indirettamente, ad amministratori pubblici facenti parte di “opposti schieramenti” in tal modo delineandosi un controllo, si potrebbe dire, “blindato” di fette rilevanti della spesa pubblica in settori determinanti per lo sviluppo. E’ emersa la costituzione di vere e proprie lobby affaristiche costituite con modalità tali da rimanere occulte, con attività dirette a interferire sull’esercizio delle funzioni d’istituzioni, amministrazioni pubbliche e di servizi pubblici essenziali d’interesse nazionale».

Ma per De Grano il teorema-Saccà non è scattato. E nessuno gli ha detto che «data la situazione», avrebbe dovuto fare altro…
I fondi per sviluppare la legalità in Calabria, per fortuna, sono in buone mani.
Meno male.

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