Daniele Emmanuello, il boss stratega
GELA (CALTANISSETTA) – Gli investigatori lo descrivono come un killer feroce in grado, però, di pensare alleanze e strategie. Fedele alleato del boss di Caltanissetta Piddu Madonia, che di lui si fidava tanto da ‘delegargli’ rapine milionarie in Lombardia e Veneto, Daniele Emmanuello, boss latitante ucciso oggi in un blitz della polizia nelle campagne di Enna, apparteneva ad una storica famiglia mafiosa gelese. Dalla fine degli anni ’80 era il gestore degli affari criminali a Gela e nel comprensorio e utilizzava ragazzi anche minorenni, estortori, rapinatori, criminali rampanti, per imporre la propria violenza.
Lo zio Angelo, detto ‘Furmiculunì, a capo della ‘famiglia’ di Gela, fu tra le prime vittime della sanguinosa guerra che, negli anni ’90, contrappose Stidda e Cosa nostra. Da allora Daniele e i suoi tre fratelli, Alessandro, Nunzio, e Davide, tutti in carcere per associazione mafiosa, e qualcuno per omicidio, avrebbero combattuto a fianco dei mafiosi nella lotta contro gli stiddari.
I primi affari importanti gli Emmanuello li fecero, proprio grazie a Madonia, negli anni ’80, partecipando alla spartizione dell’appalto di oltre 300 miliardi per la ricostruzione della diga “Disueri”. Durante la guerra con la Stidda, che culminò il 27 novembre del ’90, quando in quattro agguati simultanei furono uccise otto persone ed altre sette rimasero ferite, gli Emmanuello, decisero di lasciare la Sicilia. La famiglia si divise tra Liguria, Piemonte e Germania. Nel ’92, dopo 120 morti, si sancì la tregua.
Ma l’arresto di Madonia, punto di riferimento delle famiglie di Cosa nostra, e la cattura dei vertici della Stidda, disarticolata grazie alle rivelazioni dei pentiti, rimisero in discussione gli equilibri della provincia. La guerra stavolta scoppiò tra le cosche mafiose degli Emmanuello e dei Rinzivillo, fino ad allora alleate. La latitanza di Daniele Emmanuello, orami diventato capo della famiglia, cominciò nel ’96 quando gli investigatori lo indagarono per la morte di uno dei luogotenenti dei Rinzivillo, Maurizio Morreale. Per il delitto il capomafia è stato condannato all’ergastolo, ma la pena non è ancora definitiva. La seconda condanna al carcere a vita gli venne inflitta dalla corte d’assise nissena per il duplice omicidio di Emanuele Trubia, detto ‘la belva’, e del suo guardaspalle, Salvatore Sultano, anche loro uomini del clan Rinzivillo, trucidati nel ’99, in un salone da barba. Nel 2002 arrivarono le due condanne per associazione mafiosa, le uniche ormai definitive: in tutto 10 anni. Processato per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, venne assolto.
Da latitante, però, Emmanuello, unico dei 4 fratelli fino ad oggi riuscito a sfuggire alla cattura, continuò a controllare estorsioni e traffico di droga e riuscì a estendere le sue attività oltre la Sicilia. In Friuli una ‘cellula’ del clan gelese gestiva appalti per suo conto. Miracolosamente sfuggito a due attentati – uno dei quali fallito perchè la bomba utilizzata per l’agguato era rimasta inesplosa – avrebbe compiuto 43 anni a luglio.
(3 dicembre 2007)
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