Nel Paese degli omissis
di Alessio Magro
Un primato da record, in negativo. A sancirlo è il web, basta una semplice verifica: le pagine virtuali dedicate al termine “omissis” sono quasi 110mila in spagnolo, circa 90mila in portoghese, 30mila in inglese, meno di un migliaio in francese e tedesco, addirittura 1.280.000 in lingua italiana.
Un dato ricco di significati, una misura della democrazia. Certo, una cifra che non ha il manto della scientificità. Ma indica di certo una tendenza culturale. Né è convito Tullio De Mauro, uno dei principali studiosi di linguistica della penisola. Quasi un’ossessione per il professore quel termine scivoloso, eppure innocuo. In latino ci si invitava a tralasciare le informazioni superflue. Un termine burocratico, roba da notai o da avvocati. E comunque neutro: si omette qualcosa per brevità, ma la completezza dell’informazione resta salva.
E invece quel termine è sempre più familiare. Perché dall’omettere al nascondere il passo è breve. Un confine labile. Una zona grigia fatta di censure e realtà taciute. Omissis, segreti di Stato, verità nascoste. Omicidi irrisolti, impuniti. Come quello di Mauro De Mauro, il giornalista dell’Ora di Palermo ucciso dalla mafia trentasette anni fa. Chi, perché? Omissis. Tesi diverse, piste confuse, processi interminabili. Neanche una tomba su cui versare le lacrime per il fratello Tullio. Anche i resti di Mauro sono omissis, almeno per ora (i resti ritrovati nel cimitero di Conflenti potrebbero appartenere al giornalista, sono in corso gli esami ordinati dalla Dda di Catanzaro).
Tutto è nato, racconta il professore, da una lettura singolare. Un termine strano, “omissare”, usato in un rapporto ufficiale. Un termine inesistente, un neologismo, segno di un uso frequente del concetto. E poi l’intuizione di una ricerca comparata, a partire dal web.
Tullio De Mauro ne ha voluto parlare alla presentazione della Fondazione Libera Informazione. Un modo per dire che l’Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie dovrà misurarsi con un contesto difficile, in quello che ha definito «il paese degli omissis».
Il quadro che emerge dal web è la fotografia delle omissioni mondiali. L’italiano sbaraglia tutti. Sorprendente. Certo il termine omissis sarà poco praticato in altre lingue, ma mantiene il suo significato nella pratica specialistica. Seguono lo spagnolo del Venezuela post-golpe fallito, il portoghese del Brasile di Lula, l’inglese del Regno Unito (poco) e degli Usa (parecchio).
È il caso Calipari a fare della lingua italiana la lingua degli omissis, dopo la pubblicazione del rapporto statunitense, quello dei nomi secretati e violati con un clic da un navigatore della rete un po’ smanettone. Un altro dato emerge dalla vicenda dello 007 italiano ucciso in Iraq: la tendenza Usa a inasprire censura e omissis. Sul web, le pagine americane sono dieci volte di più di quelle britanniche. Del resto, secondo Reporter senza frontiere (Worldwide press freedom index 2006) i due paesi non brillano nella difesa della libertà di stampa (Italia al 40esimo posto, Usa al 53esimo), pur essendo nel G8.
Senza dimenticare che in Italia la questione degli assetti proprietari dei media è tutt’altro che risolta e il diritto di cronaca (e quindi d’informazione) rischia pesanti limitazioni (vedi intercettazioni). Una situazione allarmante, se si tengono fermi i principi repubblicani. A meno che non arrivino gli omissis pure sulla Costituzione.
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