Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, il vescovo-operaio
di Mario Meliadò
Intanto, è una bandiera da ostentare. Negli ultimi decenni, in termini d’immagine non era mai “passato” nulla di buono riguardante la Locride, territorio-dimenticato-da-dio ottimo da togliere dal freezer mediatico per qualche bolso servizio su Peppe Morabito “il Tiradritto”, arresti “eccellenti” o i soliti-noiosi-morti-ammazzati che da anni nemmeno fanno più notizia sui tg. Poi, è il sacerdote controverso. Diciamolo subito: nella Chiesa calabrese, padre Giancarlo non ha mai avuto molti amici.
Quest’uomo di Chiesa s’è schierato apertamente contro la ‘ndrangheta in una terra in cui molti altri religiosi spesso mostrano difficoltà a pronunciare il vocabolo ‘ndrangheta; anche perché, dicono, “i preti debbono occuparsi delle cose di Chiesa”. E allora, diciamola tutta. Se n’è occupato o no, Giancarlo Bregantini, delle “cose di Chiesa”? Sì, ma da vescovo-operaio (appunto), non da mero sacerdote. Se n’è occupato da prete convinto che in terra di ‘ndrangheta l’esercizio spirituale più sopraffino può essere regalare ai giovani la speranza; per esempio, insegnando loro a “inventarsi” un lavoro, promuovendone l’autoimprenditorialità. Così, per la prima volta alcuni giornali hanno parlato di Locride non per la faida di Motticella o le “catacombe” di Platì, ma per i mirtilli e i lamponi.
S’è occupato di cose ecclesiastiche, sì; ma da sacerdote portabandiera di una “Chiesa sociale” che non è corpo estraneo, ma pezzo vivo di una comunità… E allora, invece di discettare (rispettabilmente) sulla transustanziazione secondo l’ilemorfismo aristotelico, Bregantini ha fatto discutere il Paese (e i giornali della Chiesa) sulla sua fermezza nel negare ai membri di Cosa Nuova la possibilità di fare da “padrini” in cresime e battesimi. Un’opzione zero tolerance, con tanto di lettera ai fedeli affinché la finissero di presentarsi a Dio in compagnia di personaggi impresentabili. E in una terra dove la massoneria occulta e deviata è attivissima, il presule aveva raccolto la sfida, scagliandovisi contro senza paura. “Strutture di peccato” le aveva chiamate, accomunandole, mafia e massoneria… difficile che potesse stare simpatico all’establishment.
E’ molte altre cose, il futuro arcivescovo di Campobasso. E’ stato il prete che ha avuto l’ardire di piantarsi sulle rotaie e indire uno sciopero contro l’inefficienza dei trasporti nella derelitta Locride. E quando il compianto generale di brigata Gennaro Niglio (indimenticato comandante dei Carabinieri reggini) fece irruzione a Polsi coi suoi Nas in piena festa della Vergine, sequestrando 300 capre prossime a essere macellate e poi date come cibo ai fedeli in omaggio a una tradizione plurisecolare quanto disastrosamente antigienica, lui – l’accanito difensore della legalità – difese “la sua gente”. Pochi giorni dopo, però, rilanciò: in nome di legalità e sana alimentazione, che le istituzioni facessero sparire dall’Aspromonte le “vacche sacre”… ma i bovini dei boss pascolano ancòra liberi per i sentieri aspromontani.
E’ lo stesso volato a Duisburg dopo il terribile eccidio di 6 giovani della Locride. E’ quello che al suicidio del “pentito” Bruno Piccolo, parente ed ex fiancheggiatore dei Cordì, chiese d’intitolargli una via di Locri. E’ un disobbediente nato, Bregantini; uno che ha creato un sacco di problemi. E pensare che, ora che se ne va dalla Locride con la morte nel cuore, c’è chi dice che la sua obbedienza al Vaticano prova che a lui la promozione ad arcivescovo, la destinazione a una sede tranquillina in fondo non dispiace…
Caro padre Giancarlo, vedremo cosa farai in Molise. In fondo, come si dice qui? Chi nasce tondo non muore quadrato.
Mario Meliadò
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