Martiri per la verità
Il primo cronista ucciso dalla criminalità organizzata
porta il nome di Cosimo Cristina, giornalista de “L’Ora” di
Palermo e fondatore del giornale “Prospettive Siciliane”,
il cui corpo senza vita viene ritrovato il 5 maggio 1960 sui binari
della ferrovia a Termini Imerese. Ufficialmente si parla di suicidio,
in realtà il cronista viene eliminato per le sue indagini
sui rapporti mafia-economia nella cittadina palermitana. Dieci anni
dopo, il 16 settembre 1970, viene sequestrato Mauro De
Mauro, acuto
giornalista de “L’Ora”. Indagini farraginose e
poco incisive: punti focali le sue inchieste sul caso Mattei e sul
tentato golpe Borghese. Il processo, riaperto nel 1992, porta nel
2005 alle incriminazioni di alcuni boss (Riina e i defunti Badalamenti
e Bontade) come mandanti dell’omicidio; versione confermata recentemente
dal pentito Mannoia.
Ancora un cronista de “L’Ora” viene ucciso il 27
ottobre 1972. Si tratta di Giovanni Spampinato. L’esecutore materiale,
Roberto Campria, si conosce. Rimane invece ignoto il motivo dell’omicido,
soprattutto alla luce dei servizi del giornalista sui rapporti tra
criminalità organizzata e neofascismo nel ragusano. Sempre
negli anni Settanta altre due voci indipendenti, all’interno del
mondo dell’informazione vengono soffocate: quella di Peppino
Impastato,
il 9 maggio 1978 e quella di Mauro Francese, il 26 gennaio 1979.
Impastato, tramite il giornale ciclostilato “L’idea Socialista” e
la trasmissione “Radio Out”, mette a nudo in modo irriverente
la mafia di Cinisi. La sua morte additata come “suicidio di
un terrorista” è in realtà ordinata dal boss Badalamenti,
condannato l’11 aprile 2002 all’ergastolo per questo delitto. Per
la morte di Francese parlano gli atti processuali (condannati Riina,
Madonia, Bagarella, Calò, Geraci, Farinella e Greco) e
la vita professionale del giornalista: il primo a parlare dei
cambi
al vertice di Cosa nostra, dell’ascesa dei Corleonesi e degli
scandali che legano mafia ed economia (ricostruzione del Belice,
diga Garcia).
Il 5 gennaio 1984 cinque proiettili 7,65 mettono a tacere il
genio poliedrico di Giuseppe Fava, giornalista, scrittore
e autore di
teatro, fondatore dell’esperienza de “I Siciliani” e lucido analista
dei cambiamenti della mafia etnea e dei rapporti intrattenuti dalla
stessa con quella palermitana e con le lobby affaristiche catanesi,
ombra lunga che si staglia dietro Nitto Santapaola, boss mandante
dell’omicidio. Riconducibile alla pervasività dell’azione
dei corleonesi anche l’omicidio di Giancarlo Siani, giovane pubblicista
del “Mattino”, ucciso il 23 settembre 1985. Il cronista,
coprendo la zona di Torre Annunziata, analizza le dispute interne
alla Nuova famiglia, dopo la fine della guerra con la Nco di Cutolo.
Una camorra diversa rispetto al passato, completamente “mafizzata”,
cui Cosa nostra impone l’uccisione di Siani, che nei suoi articoli
adombra una presunta delazione – da parte della famiglia Nuvoletta
– al fine di far catturare l’alleato Valentino Gionta per sedare
una faida interna. Misteriosa ancora la morte di Mauro
Rostagno,
sociologo, fondatore di Lotta continua e di Saman, comunità di
recupero per tossicodipendenti, nonchè attivo su Radio
Tele Cine, dove adotta lo strumento televisivo per attaccare
le collusioni
tra mafia e politica nel trapanese. Rivelazioni di pentiti portano
sulla pista che conduce al boss Vincenzo Virga, senza che il
caso riesca comunque ad avvicinarsi ad una soluzione, nonostante
il recente
rifiuto del gup Maria Pino di archiviarlo. Le ultime barbare
esecuzioni negli anni Novanta.
L’8 gennaio 1993, Beppe Alfano, insegnante
con la passione per il giornalismo, cade ucciso a Barcellona Pozzo
di Gotto,
freddato
da
Antonio Merlino su mandato del boss Gulloti che punisce
Alfano per le sue inchieste sulle commistioni tra stimati professionisti
e pericolosi
mafiosi nel messinese. Non si possono inoltre dimenticare
le figure di Ilaria Alpi, giornalista del TG3 uccisa,
con
il
cineoperatore Miran Hrovatin, a Mogadiscio il 20 marzo
1994, mentre stava raccogliendo
documentazioni sugli illeciti traffici di armi e rifiuti.
L’ennesimo durissimo colpo per imbavagliare una lucida
analisi indipendente,
sempre più difficile ma sempre più necessaria.
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