Il ‘Caso Repubblica’ a Catania
di Mariangela Paone
«Sulle responsabilità della stampa meridionale nel campo dell’informazione antimafia la storia è abbastanza pacifica, ma a Catania la situazione è ancora più grave». A parlare è Dario Montana, fratello del commissario di polizia Beppe Montana ucciso nell’85 dalla mafia a Palermo e presidente del coordinamento catanese di Libera, che nelle ultime settimane ha risollevato il “caso” del doppio standard con cui il quotidiano La Repubblica viene distribuito in Sicilia. L’edizione siciliana, con le pagine Repubblica Palermo, pur essendo stampata, come il resto del giornale, a Catania, non viene distribuita nel capoluogo etneo e in ampie zone delle province orientali dell’isola dove arrivano solo le pagine nazionali.
Qual è la gravità della mancata distribuzione dell’edizione “siciliana” di Repubblica?
È una violazione del diritto dei cittadini a essere informati il che in terra di mafia è ancora più grave. Sappiamo tutti che per combattere la mafia dobbiamo intervenire sul sistema dell’informazione perché le coscienze antimafia hanno bisogno di essere formate. Ci preoccupa la decisione di Repubblica di operare una censura preventiva. Il direttore di Repubblica sa che una parte delle notizie non può essere letta in una zona vasta dell’isola, nonostante l’edizione siciliana si trovi anche nella parte meridionale della Calabria. E se queste notizie sono di interesse per queste zone non si capisce perché non possano esserlo per i catanesi. L’edizione siciliana di Repubblica ha per noi che facciamo antimafia un’importanza fondamentale perché riguarda tutta la politica regionale che si svolge a Palermo. E noi abbiamo la necessità di sapere che cosa si fa e che cosa si decide nelle stanze della politica palermitana.
È una questione di qualità dell’informazione?
No, non chiediamo la distribuzione di Repubblica Palermo perché riteniamo Repubblica migliore di altri giornali. Non entriamo nel merito della qualità dell’informazione che fa Repubblica. Questa è una battaglia un po’ troppo raffinata per la gravità della situazione a Catania, dove l’informazione è nelle mani del monopolio di un solo gruppo editoriale, il gruppo Ciancio. Il nostro obiettivo è aumentare l’informazione. Chiediamo solo che i lettori possano scegliere in edicola il giornale che vogliono e abbiano le stesse notizie che si possono leggere in altre parti del territorio. Ci sembra umiliante comprare allo stesso prezzo con cui è venduto a Palermo o a Enna il giornale mutilato in una sua parte. È irrispettoso del nostro dovere di essere informati. Perché, per chi esercita nel pieno il diritto di cittadinanza, l’informazione non è un piacere ma l’esercizio di un dovere, per capire quello che succede e avere la responsabilità di scegliere.
Ha fatto riferimento al monopolio nella Sicilia orientale del gruppo editoriale Ciancio. Può avere relazioni con il caso Repubblica?
Possiamo togliere il condizionale. Lo leggiamo ogni giorno sulla stessa Repubblica, nei riferimenti agli stabilimenti in cui viene stampata l’edizione teletrasmessa a Catania: in una delle varie società di Ciancio. Non è più un sospetto, è una notizia di dominio pubblico che questa scelta è concordata con il gruppo Ciancio che stampa Repubblica a Catania. Non vorremmo qui ricordare le malefatte editoriali e le responsabilità che ha nel campo dell’informazione questo gruppo. Ma non stiamo facendo questa battaglia per rivolgerci al gruppo Ciancio. Quello che ci colpisce è come possa un giornale come Repubblica, che si erge a paladino del libero mercato e del diritto all’informazione, decidere di non informare una parte dei cittadini.
C’è un’altra anomalia che avete denunciato riguardo a questa situazione …
Si’, quella dei processi per i reati a mezzo stampa. È paradossale. Per questi reati il Tribunale competente viene individuato nella sede dove c’è la cosiddetta prima diffusione, dove cioè il reato può arrivare a ledere il diritto della persona che si sente diffamata. In sostanza il luogo in cui viene stampato. In questo caso Catania. Noi di questi eventuali processi non sappiamo nulla perché nessuno potrà leggere le pagine di Repubblica Palermo e nessuno saprà qual è la notizia che ha dato luogo a quel determinato processo. E così vengono sminuiti due elementi centrali per chi deve fare attività antimafia: l’informazione e il senso della giustizia.
La prima lettera che avete inviato a Repubblica non ha ricevuto risposta. Che cosa vi aspettate da questa seconda lettera?
Nella prima lettera chiedevamo il motivo di questa scelta aziendale. La risposta non è arrivata perché non c’è nessuna spiegazione razionale, se non interessi di assetti proprietari. E chiediamo ai giornalisti di Repubblica di farsi carico di questa battaglia. Per questo abbiamo deciso di inviare anche a loro la nostra seconda lettera, perché possa venir meno l’alibi di non sapere. L’abbiamo inviata anche ai giornalisti che non scrivono su Repubblica perché possano esercitare come noi il diritto ad essere informati. Penso che sia umiliante anche per un giornalista sapere che il suo giornale decide che quel pezzo, quell’articolo non possa essere letto in una parte dell’isola. Se un giornalista chiede la pubblicazione e fa un articolo è perché crede fermamente nel suo lavoro. Un lavoro che in questo modo viene vanificato.
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