La “convivenza” con mafie sempre più potenti
Diversi anni fa, nel 2001, suscitarono aspre polemiche le dichiarazioni di Pietro Lunardi, allora Ministro delle Infrastrutture, che, parlando delle possibili infiltrazioni mafiose negli appalti per le opere pubbliche, affermò che “mafia e camorra (..) purtroppo ci sono e dovremo convivere con questa realtà”, aggiungendo, subito dopo, la personale e stravagante intuizione secondo cui “i problemi di criminalità ognuno li risolve come vuole”.
L’indignazione e le prese di posizione politiche per le affermazioni di Lunardi furono presto “assorbite” e l’azione di contrasto dello Stato alle mafie attraverso la DIA e le forze di polizia è continuata, pur tra alti e bassi, conseguendo risultati che sono stati riepilogati anche nella ultima relazione della stessa DIA, del secondo semestre del 2018 (presentata in Parlamento, a luglio scorso, dal Ministro dell’Interno).
Dunque, nei ventisette anni di vita della Direzione Investigativa Antimafia, sono stati sequestrati (e confiscati) alle mafie italiane e alle “altre” organizzazioni criminali, beni per un valore complessivo di oltre 24 miliardi di euro che, in relazione ai profitti stimati derivanti dalle complessive attività criminali svolte in tale lungo arco temporale, rappresentano solo una piccola parte delle ricchezze accumulate e reinvestite nei vari settori economici dalle mafie.
Tutto questo grazie anche a quei professionisti esterni all’organizzazione che, come si sottolinea nelle conclusioni della relazione, “prestano la loro opera proprio per schermare e moltiplicare gli interessi economico-finanziari dei gruppi criminali”. Sono questi i “veri e propri artisti del riciclaggio”, gente abituata a “convivere” da decenni con le mafie e che solo in pochi casi è finita in galera.
Sono stati, invece, grazie al lavoro investigativo delle nostre forze di polizia, ben 10.560, negli ultimi ventisette anni, i destinatari di ordinanze di custodia cautelare in carcere, di cui 2.177 appartenenti a cosa nostra, 3.186 alla camorra, 2.797 alla ‘ndrangheta, 803 alla criminalità organizzata pugliese e 1.597 ad “altre” organizzazioni criminali (incluse quelle straniere).
Nonostante ciò, alla fine, le mafie si sono ancora di più consolidate, proiettandosi anche in molti altri Paesi europei ed extraeuropei, colpendo, ed è questo l’aspetto più drammatico “tutti settori economici che il Paese riesce ad esprimere”.
E’ il punto di situazione che segnalano con estrema chiarezza gli analisti della DIA facendo riferimento alle persone denunciate e arrestate negli ultimi cinque anni (2014/2018) per reati tipicamente mafiosi, in relazione alle varie attività economiche svolte nel settore primario (agricoltura, allevamento, silvicoltura, caccia e pesca, attività estrattive), in quello secondario (aziende tessili, automobilistiche, meccaniche, siderurgiche, chimiche, farmaceutiche ecc..), del terziario (aziende di trasporto, banche, assicurazioni ecc..) del terziario avanzato (aziende della new-economy, ad alta tecnologia).
Ebbene, su di un campione di 12.054 posizioni (denunciati o arrestati) esaminate (l’87,9% ricadono nelle regioni del sud Italia), i dati confermano come i vari settori economici siano stati “permeati in maniera costante dalle organizzazioni criminali” ed in particolare per il 44,8% (5.394 denunciati o arrestati) il secondario, per il 46,8% (5.638) il settore terziario, per il 6,3% (766 posizioni) quello primario e per il 2,1% il terziario avanzato.
Insomma, sono tanti i settori economici infiltrati dalle mafie nel nostro Paese abituatisi a “convivere” con le mafie che, oltretutto, contribuiscono alla ricchezza nazionale almeno con un più 1% annuo contabilizzato nel Pil grazie ai proventi derivanti dal narcotraffico, dalla prostituzione e dal contrabbando di sigarette. Un insieme di “servizi” ai quali non intendono rinunciare molti cittadini.
Il consolidamento del processo di mondializzazione delle mafie
In Europa le mafie hanno consolidato vere e proprie agenzie di rappresentanza per curare i loro interessi, su tutti quelli collegati al traffico di stupefacenti e al riciclaggio di denaro.
Così la ‘ndrangheta che continua ad avere un ruolo centrale nel narcotraffico internazionale e “grazie al rapporto privilegiato (..) con le organizzazioni criminali del Sud America” utilizza la Spagna “per riciclare denaro di provenienza illecita e coprire la latitanza dei suoi accoliti”. E’ quanto annota l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) citando alcune importanti operazioni antidroga (Miracolo, Bellavista, Ares, Pret a Porter 2016) condotte nel 2018 da Polizia di Stato e Carabinieri.
Territorio spagnolo che ha esercitato un speciale attrazione anche per la camorra che, nelle zone della Costa del Sol e della Costa Brava (ma anche nelle Canarie), ha riciclato denaro sporco realizzando importanti investimenti immobiliari. Presenze di cosa nostra oltre che a Costa del Sol, a Torremolinos, mentre la criminalità organizzata pugliese si sta facendo spazio come emerso nella operazione Orione condotta dalla DDA di Lecce.
Interessi anche in Francia, a Vallauris e nella Guayana francese dove la ‘ndrangheta “starebbe realizzando legami con la criminalità francese, marsigliese in particolare, per sviluppare il traffico di droga”.
La criminalità campana è presente in Costa Azzurra. Regno Unito, Slovenia, Croazia, Romania e Repubblica Ceca sono state al centro di indagini (operazioni Vello d’Oro, Martingala, Piano B, Galassia, Pietra Filosofale) che hanno portato all’arresto per riciclaggio e autoriciclaggio di diversi appartenenti alla ‘ndrangheta e alla camorra.
Mafie italiane (e criminalità albanese) sono presenti in Belgio (aree di Moris, Charleroi, Hainant e Liegi). Cosche calabresi sono attive nei Paesi Bassi come emerso nelle operazioni Kruppy, Acero Connection), in Svizzera, in Germania (a Francoforte, Engen, Baden-Wuttemberg, Turingia, Sassonia, Baviera, Assia ecc..) dove la ‘ndrangheta è stata “clonata” realizzando strutture analoghe a quelle del territorio di origine.
E la DIA nella puntuale esposizione fatta, parla di mafie nostrane presenti in Austria, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Albania, Romania, Malta, ma anche in “aree extra Europa” come in Canada con presenze di cosa nostra, in particolare a Montreal dove avrebbe assunto addirittura “una realtà criminale autonoma rispetto a quella siciliana”, mentre nel comprensorio di Toronto sono operative cosche calabresi che hanno “focalizzato i propri interessi nel gioco d’azzardo, nell’usura, nelle estorsioni nei confronti della locale comunità italiana”.
Negli USA le strategie mafiose sono affidate alle famiglie di New York (Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese, Lucchese), a quella di Newark (De Cavalcante), alla cosa nostra di Filadelfia e al “Chicago Outfit”.
Cartelli colombiani e messicani fanno buoni affari con il traffico di cocaina con esponenti della criminalità calabrese, campana, siciliana (quest’ultima ben radicata in Venezuela) come emerso anche in una delle ultime operazioni antidroga (European ‘ndrangheta connection del dicembre 2018).
C’è, poi l’Australia dove la mafia calabrese “si conferma la principale organizzazione mafiosa italiana presente” e gli Emirati Arabi dove gli interessi dei mafiosi italiani risulterebbero “collegati prevalentemente alle difficoltà di estradizione”.
Altri spazi per la criminalità organizzata italiana si stanno aprendo anche in Giappone, in Cina, in Russia in quel processo di mondializzazione delle mafie che è il grande pericolo per la sopravvivenza della democrazia, delle istituzioni e delle strutture della società civile di gran parte dei Paesi del mondo.
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