#LiberaIdee, ecco la ricerca sulla percezione di mafie e corruzione
Attraverso una ricerca quantitativa, con oltre 10.000 questionari in tutta Italia, e una ricerca qualitativa, con oltre 100 interviste alle associazioni di categoria, Liberaidee dà una panoramica aggiornata rispetto alla presenza e alla percezione delle mafie e della corruzione nel nostro Paese e a livello internazionale. Il Rapporto mette insieme l’analisi quantitativa e l’analisi qualitativa e fornisce molti dati dai quali poter partire per ragionare su nuovi metodi capaci di generare cultura antimafia e cittadinanza attiva.
Sintesi della ricerca
1) Obiettivo e metodo
LiberaIdee nasce con lo scopo di porsi in profondo ascolto del territorio nazionale e internazionale, attraverso una ricerca sociale qualitativa e quantitativa, non affidata a centri di indagine e statistica ma costruita insieme alla rete territoriale e posta nelle mani dei volontari dell’associazione.
La ricerca quantitativa ha raccolto 10.343 questionari, con una ripartizione territoriale che vede primeggiare le regioni del Sud (35,4%), seguite da quelle del Nord-Ovest (31,1%), Nord-Est (20,9%) e Centro (12,6%); (secondo la ripartizione Istat: Liguria, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta in Nord-Ovest; Emilia Romagna, Friuli-Venezia- Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto in Nord-Est; Lazio, Marche, Toscana, Umbria in Centro; Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia in Sud).
L’analisi qualitativa, concentrata su un campione del mondo del lavoro, ha raccolto oltre 100 interviste (Confindustria, Confederazione italiana della piccola e media industria privata: Confapi /Api, Confcommercio-Imprese per l’Italia, Confesercenti, Confartigianato, CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Coldiretti, Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana – Confagricoltura, Cia-Agricoltori Italiani, Legacoop, Confcooperative, Agci Associazione Generale Cooperative Italiane). Altre interviste sono ancora in corso e riguardano il campione estero della ricerca, che poggia sulla presenza di Libera in alcuni Stati dell’UE.
2) Politica
a) L’autocollocazione politica dei rispondenti mostra una prevalenza di coloro che non si dichiarano né di destra né di sinistra (45,3%) rispetto a chi sostiene di appartenere al centro-sinistra (40,7%) o al centro-destra (14%). I giovani fino ai 25 anni si collocano in misura superiore tra coloro che rifiutano la tradizionale ripartizione tra destra e sinistra, mentre gli adulti – dai 26 anni in avanti – appartengono più frequentemente al centro-sinistra, secondo una tendenza che cresce all’aumentare dell’età.
b) Emerge con forza una concezione della politica come di una sfera “altra” rispetto al proprio vissuto quotidiano, un tema sul quale ci si informa ma senza partecipazione diretta: soltanto l’11,8% dei rispondenti si ritiene politicamente impegnato, mentre il 53% dice di tenersi informato ma senza partecipare. Il restante 34% si divide tra coloro che dichiarano che la politica vada lasciata a chi ne ha le competenze, che la politica non gli interessa o che genera disgusto. Quest’ultimo dato è più numeroso (arriva a oltre il 53% sommando le 3 opzioni) tra i giovani sotto i 25 anni, segno che c’è bisogno di una rinnovata azione di dialogo con le generazioni in erba e di un avvicinamento tra questi e la sfera decisionale pubblica.
3) Partecipazione ed associazionismo
Si osserva una ridotta tendenza all’associazionismo: infatti quasi un rispondente su due non aderisce ad alcuna associazione, mentre la maggior parte di chi si attiva su questo fronte dedica il suo tempo soltanto a una realtà associativa. Tra questi ultimi, le preferenze si orientano prevalentemente su associazioni di volontariato sociale (20,7%), sportive (19,7%) e culturali (16,5%). La maggior parte dei rispondenti (54,1%) dichiara di partecipare episodicamente ad attività di varia natura su mafia e antimafia, mentre solo una minoranza dichiara continuità (13,7%). Un intervistato su tre non ha mai partecipato ad attività, iniziative o eventi legati al tema in oggetto.
La partecipazione continua è più diffusa tra gli adulti (>26 anni) mentre è elevata la percentuale di chi non ha mai preso parte ad alcuna iniziativa tra i giovanissimi (<17 anni). Infine, per quanto riguarda la ripartizione territoriale i rispondenti del Sud rivelano una maggior partecipazione – sia assidua sia episodica – a differenza delle aree del Nord Italia in cui oltre il 40% dei rispondenti dichiara di non aver mai preso parte ad attività su mafia, vittime di mafia o antimafia.
4) Globale è Locale
Quando si chiede agli intervistati se ritengono le mafie un fenomeno del Sud, del resto d’Italia, Europeo, globale o di letteratura, il 74,9% non ha dubbi e indica come globale la presenza delle mafie. Sicuramente questo è un dato che è cambiato notevolmente negli ultimi anni e ciò fa pensare a uno scatto di consapevolezza rispetto alla gravità della presenza mafiosa.
È necessario però incrociare questo risultato con quello relativo alla pericolosità sociale delle mafie sul proprio territorio: solo il 38% dichiara che la mafia dove abita è un fenomeno preoccupante e la sua presenza è socialmente pericolosa, mentre il 52% si divide tra coloro che la ritengono marginale e coloro che la ritengono preoccupante ma non socialmente pericolosa. Questo porta a pensare che affermare che le mafie siano una presenza globale rischia di renderle meno riconoscibili e più distanti, meno percepite come pericolose.
Dire che le mafie sono un fenomeno globale (74,9%) non significa dire che anche il livello locale sia inquinato. Quando si dice globale spesso si indica qualcosa di indefinibile e lontano. Un oggetto misterioso che si muove in una dimensione sconosciuta a chi vive la dimensione del territorio circostante. Insomma dire che la mafia è un fenomeno globale non significa dire che il suo potere si estende in tutta la Penisola. Infatti, solo l’8,5% degli intervistati risponde che la mafia esiste anche nel resto d’Italia. Se poi aggiungiamo che il 7,5% considera la mafia solo letteratura e che bisogna parlare di tante forme di criminalità otteniamo una rappresentazione ancora più indefinita della mafia, una specie di grande fratello dalle mille facce la cui identità non è rintracciabile. C’è ancora difficoltà ad assumere le mafie come questione nazionale. Questa resistenza risulta preoccupante perché proviene dalle regioni che determinano l’andamento dell’economia nazionale. Ciò dovrebbe indurre a riflettere su un aspetto più generale che ha favorito il radicamento della criminalità mafiosa nel Nord: dal punto di vista economico le mafie non esistono, o meglio per inesperienza o ancora peggio per convenienza sono accettate come operatori del mercato soprattutto in contesti in cui possono movimentare flussi finanziari e garantire controllo della manodopera a prezzi competitivi. L’assenza di violenza omicida ha consentito alle mafie, perciò, di nascondersi dietro la circolazione del denaro. Secondo i rispondenti, tra le attività principali delle mafie vi sono il traffico di stupefacenti (59%), la turbativa di appalti(27,9%) il lavoro irregolare (24,5%), l’estorsione(23%) , la corruzione dei funzionari pubblici(21,5%), il riciclaggio di denaro(20,6%) e lo sfruttamento della prostituzione(20,0%). Nell’opinione dei rispondenti – la mafia toglie soprattutto libertà (37,8%), giustizia(30,9%), sicurezza (30%) e fiducia nelle istituzioni(23,4%). Più in generale si osserva una netta prevalenza di fattori per così dire ideale-valoriali rispetto a dimensioni più concrete come quella del lavoro e della qualità ambientale.
5) Beni confiscati
Circa due rispondenti su tre del campione (66,2%) sanno che i beni che sono stati confiscati vengono poi dati in uso per fini istituzionali o sociali; di questi, poco meno della metà è in possesso di informazioni precise, mentre i restanti sanno dell’esistenza di beni confiscati nel territorio regionale ma non sono in grado di individuarli puntualmente. La conoscenza approfondita relativa alla presenza di beni confiscati cresce al crescere dell’età – non a caso è anche più frequente tra i lavoratori rispetto agli studenti: quest’ultimi infatti nel 45% dei casi pensano che i beni confiscati vengono venduti ai privati o messi all’asta. Nella grande maggioranza dei casi – oltre otto su dieci – i beni confiscati sono percepiti come una risorsa per il territorio, capace di portare benefici all’intera comunità locale.
Per quel che concerne le opinioni relative a quale debba essere l’utilizzo dei beni confiscati, secondo i rispondenti dovrebbero essere destinati in misura prioritaria a cooperative orientate all’inserimento lavorativo dei giovani (31%), alla realizzazione di luoghi pubblici di aggregazione e di educazione alla cittadinanza (23,5%) e a progetti di volontariato e di promozione sociale (18%). Il tema del riutilizzo a favore dell’inserimento lavorativo sta più a cuore agli adulti e agli over 65 anni (quindi dei lavoratori e dei pensionati), mentre tra i giovani e giovanissimi è maggiormente sentita l’esigenza di assegnazione a scopo didattico per far conoscere meglio il fenomeno mafioso nelle scuole.
Se molto lavoro è stato fatto dall’entrata in vigore della legge 109/96, è evidente che c’è ancora un pezzo di strada da fare sia con gli studenti, sia con gli adulti, per far sì che tutti i cittadini conoscano la portata del bene confiscato come risorsa economica e simbolica del proprio territorio.
6) Vittime innocenti delle mafie
La funzione attribuita alla memoria delle vittime di mafia è prevalentemente quella di esempio per le nuove generazioni (33,4%) e di promozione dell’impegno civile antimafia (22,9%). I più giovani evidenziano in misura superiore alla media il ruolo di conforto ed espressione di solidarietà alle famiglie delle vittime (22,3% vs 13,4% della media). Rispetto alla variabile territoriale, i rispondenti del Sud esprimono maggiore attenzione al riscatto del Meridione e alla necessità di offrire modelli positivi ai giovani, mentre ravvisano meno frequentemente una funzione della memoria in difesa dei valori costituzionali (7%).
Rispetto a questi risultati, si tratta di risposte molto interessanti che interrogano l’azione di Libera e il suo costante lavoro per la costruzione di una memoria collettiva antimafia, che parta dalla storia dei singoli e approdi alla conoscenza della Storia e alla difesa della Carta Costituzionale. In questo momento pare prevalere il ruolo di esempio (testimoniale da parte dei familiari) e di solidarietà alle famiglie.
7) Fonti d’informazione
Dai risultati emerge che la conoscenza dei fenomeni mafiosi si apprende più dai media che nei luoghi deputati alla disseminazione del sapere: il giornalismo d’ inchiesta (20,5%) è il mezzo più adeguato per conoscere i fenomeni mafiosi, seguito dalla televisione (18,3%), dal cinema (16,3%) e dalle lezioni nelle aule scolastiche e universitarie (14,9%). Solo il 6,4% usa internet per conoscere meglio il fenomeno mafioso, percentuale che scende al 4,3% riferendosi ai social network. La preferenza per il giornalismo d’inchiesta cresce all’aumentare dell’età del rispondente, così come quella per le lezioni a scuola o in università. Gli under 25 sottolineano in misura superiore alla media il ruolo di internet e dei social network, mentre i giovani e giovani adulti (dai 18 ai 39 anni) attribuiscono particolare rilevanza al cinema.
Importante riuscire ad intercettare e usare tutti questi strumenti per riuscire ad arrivare a quanta più audience possibile.
8) Corruzione
Sul tema corruzione la percezione negativa risulta dominante, con oltre il 70 per cento di intervistati che ritiene molto o abbastanza diffusa la corruzione a livello regionale, contro un 20 per cento scarso di risposte relativamente ottimiste. Ma a colpire è soprattutto la diversificazione territoriale: quasi il 90 per cento degli intervistati del Sud ha una visione pessimistica. Le percezioni generalmente si fondano su esperienze, dirette o mediate dal racconto altrui (o comunque dal “clima” generato dai media e dal discorso pubblico). Alla radice della prospettiva disincantata sull’ampiezza del fenomeno si collocano spesso esperienze personali: circa il 30% degli intervistati da LiberaIdee ha incontrato in prima persona o tramite conoscenti richieste indebite di tangenti o altri favori – percentuale che come prevedibile anche in questo caso lievita a circa il 40% nelle regioni del Sud, dove è quasi il doppio rispetto al Nord-est. Ma un marcato smarrimento (o una comprensibile preoccupazione) nel valutare la propria capacità di identificare la natura illecita o irregolare delle altrui richieste affiora anche dalla percentuale altissima – pari al 36%– di intervistati che “non sanno” se hanno ricevuto o meno simili richieste.
La corruzione si conferma dunque come un fenomeno profondamente radicato, nelle percezioni e nelle esperienze dei cittadini, soprattutto quelli del Sud Italia. E’ la sfera politica il principale bersaglio selettivo della sfiducia: il coinvolgimento nella corruzione viene considerato significativo nei confronti di membri del governo e del Parlamento e dei partiti dalla metà esatta degli intervistati. Il distacco è evidente soprattutto nei confronti della politica più “distante”, basti pensare che la percentuale di sfiducia verso gli amministratori locali quasi si dimezza. Mentre il settore degli appalti – con oltre il 40% – si conferma “area sensibile” al rischio corruzione, non ne sono immuni il mondo dell’imprenditoria (oltre il 30%) e della finanza (15%), e appena il 12% indirizza il proprio malcontento sugli impiegati pubblici in generali.
Quest’ultimo dato conferma che probabilmente la “corruzione spicciola”, di piccolo o piccolissimo cabotaggio, è molto meno diffusa di quanto si pensi. Si può formulare un’ipotesi incrociando queste rilevazioni, tra loro coerenti: in base alle esperienze personali e all’identità dei soggetti pubblici percepiti come maggiormente corrotti, è possibile che vi sia in Italia un differenziale significativo tra la “corruzione spicciola”, quella che investe i semplici dipendenti pubblici e i comuni cittadini, presente ma comunque contenuta entro livelli “fisiologici”, e la cosiddetta “grande corruzione”, legata ad esempio alle scelte politiche e di programmazione, agli appalti e agli affari immobiliari, che appare invece rampante. E questo rende spuntati molti degli strumenti approntati dalle politiche di prevenzione e contrasto della corruzione: chi potrebbe o dovrebbe denunciarla ha paura delle conseguenze – quasi 80% delle risposte, o ritiene corrotti anche gli interlocutori cui dovrebbe presentare la denuncia (36%), o pensano non succederebbe nulla (32%), o ritengono la corruzione un fatto normale (23%). Colpisce che le azioni ritenute più efficaci da intraprendere per combattere la corruzione si risolvano in atti individuali: denunciare (51%), rifiutarsi di pagare (27%), votare per gli onesti (20%), mentre minor peso hanno l’iscriversi in associazioni, il partecipare a manifestazioni o firmare petizioni (tutte intorno al 15%).Questi risultati portano a una riflessione profonda su ciò che come associazione sia importante fare (ex. il servizio LineaLibera) e su quanto le Istituzioni debbano interrogarsi sul proprio ruolo difensivo per chi ha un vissuto e non si sente tutelato rispetto al percorso di denuncia.
9) Mafie straniere
Oltre la metà dei rispondenti ritiene che nella propria regione vi sia la presenza di organizzazioni criminali di origine straniera con caratteristiche similari alle mafie tradizionali italiane. Consistente è anche la percentuale di coloro che non sono in grado di prendere posizione sul tema (più di un rispondente su tre). Si dicono più certi dell’esistenza di criminalità straniera simile alle mafie gli adulti (i lavoratori) oltre ai rispondenti del Nord.
La quota di incerti cresce a fronte di una domanda più precisa circa il tipo di criminalità straniera presente nella regione: quasi la metà del campione – vale a dire il 45,2% – afferma di non essere in grado di identificare esattamente l’origine dei gruppi mafiosi stranieri più diffusi nel territorio regionale. Tra coloro che manifestano maggiori difficoltà nell’esprimersi su questo punto vi sono i giovanissimi (under 18) e gli ultra-sessantacinquenni. Tra coloro che rispondono in modo puntuale alla domanda, invece, prevale l’indicazione di mafie di origine cinese (16,8%), albanese (11,7%), balcanica (11,4%) e nigeriana (9.0%). In relazione al rapporto tra migrazioni irregolari e mafie, per circa la metà dei rispondenti un ruolo prevalente è svolto dai gruppi mafiosi tradizionali italiani, mentre per il 27% vi è un coinvolgimento maggiore delle mafie straniere. Anche in questo caso una quota rilevante di rispondenti – quasi uno su quattro – ritiene di non avere sufficienti conoscenze per rispondere.
L’incertezza nelle risposte e la percezione di alcuni temi (non vi sono riscontri processuali sul fatto che le mafie italiane siano più coinvolte di quelle straniere nel traffico dei migranti) porta a dire che su questo aspetto c’è bisogno di maggiore formazione e informazione, a tutti i livelli.
10) Nord-Est
Il Nord Est risulta il territorio che ha una visione che spesso si scosta con percentuali rilevanti dalla media nazionale. Tre esempi su tutti:
– per 4 cittadini su 10 la mafia è invisibile e la si ritiene un fenomeno marginale
– il 41,9% crede che i beni confiscati siano venduti o messi all’asta
– le percentuali di coloro che valutano la corruzione “poco diffusa” e addirittura “pressoché assente” o “non so” sono complessivamente il 44,6%.
Libera ha scelto di celebrare la XXIV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie a Padova, con un percorso di avvicinamento che coinvolgerà tutto il Nord Est e un momento di approfondimento, Contromafiecorruzione Nord Est, che si svolgerà a Trieste. Una scelta precedente all’analisi di questi dati, ma confermata dalla loro lettura. Un territorio economicamente importante in cui, allo stato, la penetrazione delle mafie e della corruzione è stata capace di rendersi invisibile e ancora abissata.
11) Soggetti economici
L’analisi delle oltre 100 interviste che sono state somministrate ai responsabili delle associazioni nazionali di categoria selezionate, porta con sé un panorama molto ricco di spunti e non sintetizzabile in poche righe. È da rimarcare però che in numerosi casi non sia stato possibile effettuare le interviste, perché i Presidenti regionali o direttori si sono resi irreperibili ai richiami dei referenti di Libera. Segno che, forse, la ricerca non è stata valutata come importante. Tra coloro che rispondono, su alcuni temi si percepisce con forza la difficoltà ad ammettere la presenza criminale sul proprio territorio e a denominarla come tale, quasi a significare che tale ammissione inficerebbe la portata economica delle imprese e la ricchezza generata dal lavoro onesto.
Anche in questo caso due esempi su tutti, riferiti a uno dei settori che maggiormente ha subito l’ondata della crisi, vale a dire l’agricoltura: tra gli intervistati si fa molta fatica a nominare la parola ‘agromafie’ (in alcuni casi si parla, cercando di depotenziare il tema, di agropirateria) e c’è chi ha definito la Terra dei Fuochi una “bolla mediatica” che ha rischiato di mettere in crisi il commercio dei prodotti di quelle zone
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