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Una “soluzione finale” per Riace

Francesco Donnici il . Calabria

riaceObiettivo: cancellare il sistema Riace e rivenderlo come il fallimento del sogno di un mondo rispettoso dei propri abitanti e senza barriere fisiche, ma soprattutto mentali.

Parrebbe proprio questo il diktat più impellente nell’agenda del Ministero degli Interni di un paese divorato da corruzione e mafia, che interviene attraverso l’ennesimo atto di forza in un surreale “braccio di ferro” con l’umanità e col solito impeccabile tempismo, proprio nel momento in cui quella stessa forza pubblica è chiamata a fare i conti coi suoi eccessi, testimoniati, a distanza di anni, da alcuni rappresentanti e della loro tirannica indole che ne ha fatto i carnefici di quegli stessi cittadini che, il dovere civico e di pubblico dipendente, li chiama a tutelare.

Viviamo in tempi bui, ma probabilmente non abbiamo compreso — o non vogliamo comprendere — le vere matrici di questa oscurità.

E così, il Viminale, come si legge nella circolare di questo 9 ottobre, avrebbe disposto il trasferimento di tutti i migranti gestiti dal Comune di Riace in relazione ai progetti Sprar, chiedendo inoltre la rendicontazione di tutte le spese sostenute. Non è un fulmine a ciel sereno, quanto il coronamento di un percorso iniziato anni addietro che l’impegno e le coscienze comuni hanno cercato di arginare. Il provvedimento arriva in risposta alle controdeduzioni presentate questo agosto dal Comune che alcune fonti, a più riprese, avevano date per accolte probabilmente in un meschino gioco di illusione per dare in pasto a centinaia di persone e ad una terra risorta, quel barlume di speranza utile ad acuire il successivo senso di ingiustizia e disperazione.

Si delinea chiaro un disegno mediatico-politico che ha assunto Riace come vittima sacrificale per dimostrare chiaramente quale estremità, oggi, impugna il coltello e quanto inesistente sia su determinati temi un’opposizione politica che alle idee preferisce l’ideale riscoprendosi totalmente priva di contenuti. Perché se una cosa è certa è che oggi, come in un ieri non troppo lontano, le sorti di Riace e del suo significato più profondo, sono state consegnate in mano a pochi. E questi pochi hanno disatteso qualsiasi aspettativa e promessa.

Surrealistico borgo dell’accoglienza”; “business dell’accoglienza”. Gli epiteti accostati a Riace negli ultimi tempi sono il frutto della grande disinformazione che ci circonda e di personalizzazioni rischiose e retoriche che frustrano il senso stesso della lotta per la tutela dei diritti umani: universale e non monocromatica.

Perchè a molti, probabilmente, sta sfuggendo che la grandezza e l’importanza di Riace sta nell’aver dato un nuovo sorriso ad esseri umani la cui vita era stata ormai spazzata via; nell’aver rivitalizzato un paese che contava inesorabile le porte chiuse ai bordi di strade desolate. Riace, di surreale non ha mai avuto nulla, né i pregi, né tantomeno gli umani limiti.

Molti hanno scommesso su quella terra, sulla Calabria e su tutto il meridione per fare in modo che quell’idea politica poi divenuta modello potesse consolidarsi, quindi replicarsi.

La corresponsabilità più grande da addebitare a Riace, è stata quella di aver perso, nel tempo, la sua indipendenza ed autosostenibilità, prestando il fianco ad una classe politica che ne ha prima cristallizzato le qualità all’interno della legge regionale (Calabria) n. 18/2009 c.d. “modello Riace”, e ne ha poi bloccato l’attuazione.

I laboratori, cuore del modello, sono stati chiusi perché, riprendendo le parole del Prof. Mario Ricca, intervenuto a Pisa questo 12 ottobre, è mancata una progettualità di lungo periodo che avrebbe potuto emancipare Riace oltre se stessa rendola la capofila di un sistema di integrazione indipendente dai fondi per l’accoglienza e replicabile in molti altri territori.

Qualcosa non ha funzionato. Riace è un organismo vivente e, in quanto tale, può essere reso capace di riprodursi, ma per crescere ha bisogno di essere alimentato. I fondi sono stati tagliati in relazione a quelle stesse mancanze burocratiche richiamate oggi dal Viminale quali “irregolarità nell’uso dei fondi pubblici”, in un insano gioco che ferisce qualsiasi persona capace di porsi le opportune domande di fronte ad una realtà tremendamente ipocrita, dove a farne le spese sono sempre (e solo) gli ultimi.

Mimmo Lucano è stato tratto agli arresti domiciliari a seguito di una discutibile misura cautelare per dei capi d’accusa esigui. Un assist troppo pericoloso che ha permesso a molti di infliggere al cuore della sua idea politica e prima ancora umana, un colpo assestato fin troppo bene. Il Tribunale del Riesame, tra qualche giorno, chiarirà anche questo aspetto argomentando, quale che sarà la propria decisione, secondo Giustizia.

E mentre a Pisa si costituisce un Comitato che fa leva sul buono che l’esempio di Riace ha originato, per replicare e migliorare quell’idea anche in altri territori, la ritrovata serenità di tante persone viene messa a repentaglio. Spostare queste persone in altri centri diversi da Riace, significa, oggi, sradicarle ai loro nuovi affetti e richiudere le porte di uno dei tanti paesini della ionica calabrese i cui abitanti, in eredità avranno solo un grande silenzio. Significa, oggi, alimentare altri centri, altri sistemi, burocraticamente più impeccabili, ma più esposti a fenomeni negativi altri. Mentre un esempio di umanità viene assunto come simbolo e nemico politico in una lotta tra leoni e lupi, la ‘Ndrangheta, attore dimenticato, ma tutt’altro che passivo nelle vicende di quei luoghi, tira un sospiro di sollievo.

Domani forse ci sveglieremo, scenderemo in piazza, ma il giorno dopo non avremo cambiato nulla; o magari esulteremo per aver “fatto giustizia”, pulizia ed aver ristabilito l’unicità e la primazia del nostro “io”.

Intanto, a pochi passi da noi, ma molto lontano dalle nostre coscienze, l’ennesimo Comune verrà sciolto per mafia e forse ci starà bene così, in questo strano mondo fatto di un male tanto vero, quanto banale.

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