Lo Strappo: il crimine visto da vittime, rei, Istituzioni e media
Il documentario, realizzato in collaborazione con Libera e il Comune di Milano, è stato presentato lunedì 22 gennaio agli studenti di cinque istituti superiori milanesi
«La sua presenza qui oggi è una delle più grandi soddisfazioni che ho provato da quando faccio questo lavoro». A parlare è Alberto Nobili, pubblico ministero. Al suo fianco un ergastolano per cui chiese la condanna in primo grado. Sono due dei protagonisti del documentario Lo strappo. Quattro chiacchiere sul crimine, presentato lunedì 22 gennaio nell’aula magna dell’Istituto “Ettore Molinari” di Milano alla presenza degli studenti di cinque scuole. All’incontro sono intervenuti anche alcuni familiari di vittime del crimine, come Maria Rosa Bertocci, moglie di un gioielliere ucciso durante una rapina, e Manlio Milani, che il 28 maggio 1974 perse la moglie Livia nella strage di Piazza della Loggia. Lo strappo, come loro stessi hanno spiegato, è quell’istante in cui la violenza irrompe nella vita di una persona cambiandola per sempre. «Da quel momento in poi sembra che non ci sia più un domani», dice Daniela Marcone, figlia di Francesco, direttore dell’Ufficio registro di Foggia ucciso nel 1995. Marcone, referente per il settore memoria di Libera, dice: «Le storie devono uscire dal silenzio». E proprio per rompere questo silenzio, per dar voce a chi ha incrociato questa condizione, su diversi fronti, l’opera, realizzata da Dieci78 (Chiara Azzolari, Tommaso Belletti, Claudio Cescutti, Barbara Urbano), prova ad affrontare la questione crimine da quattro punti di vista: quello della vittima, quello di chi l’ha commessa e sta scontando una pena, quello delle istituzioni e quello dei mezzi di informazione. Il progetto, a cui hanno collaborato Libera e il Comune di Milano, è nato da un’idea dello psicologo Angelo Aparo, del magistrato Francesco Cajani, del giornalista Carlo Casoli e del criminologo Walter Vannini dopo la XV Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
«La violenza rompe qualsiasi tipo di rapporto – racconta Milani nel documentario- da un momento all’altro ti trovi privato della possibilità di avere una persona accanto e il peso di quell’esperienza è solo tuo. Puoi provare a raccontarla, ma ci sono delle cose che sono impossibili da trasmettere». Questa sofferenza spesso è acuita dall’impossibilità di sapere la verità. Oltre il 70% dei familiari delle vittime di mafia non la conosce, come ricorda agli studenti il Presidente di Libera Don Luigi Ciotti, e senza verità non si costruisce giustizia.
I ragazzi si interrogano sulla lentezza dei processi, chiedono quali siano i percorsi di recupero in carcere e quali invece gli aiuti per le vittime. «Ragionare su queste questioni è complesso», ammette Luigi Pagano, provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia. Chi amministra il sistema infatti ha il difficile compito di conciliare punizione e rieducazione del reo. «La pena deve essere costruttiva nell’interesse dell’intera società», sottolinea Don Ciotti, aggiungendo: «Non ho mai creduto a chi dice che la criminalità è colpa del sistema, inchiodare le persone alle proprie responsabilità è un grande atto d’amore». Per questo da più di dieci anni Libera segue molti minorenni nei percorsi di messa in prova: «È una strada difficile ma possibile».
Milano, 22 gennaio: “Lo strappo. Quattro chiacchiere sul crimine”
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