Trovata l’occasione per sparlare dell’antimafia a Trapani
La notizia è stata rilanciata a inizio di settimana da take di agenzia e da certi siti specializzati nel fare le pulci all’antimafia, per poi stare in silenzio dinanzi a malefatte mafiose o a vere malefatte nella gestione dei beni sequestrati e confiscati. L’imprenditore trapanese Vincenzo Mannina – al quale sono state restituite le imprese che gli erano state sottratte per via delle accuse di mafia che l’hanno colpito nel 2007 e dalle quali è uscito assolto dopo diversi rocamboleschi iter giudiziari, dopo una custodia cautelare di quattro anni e sette mesi – si è visto notificare cartelle esattoriali per circa 3 milioni di euro. Somma che velocemente è stata così spiegata: “si tratta di tributi non pagati nel periodo della gestione da parte dell’amministrazione giudiziaria, che ha ottenuto l’applicazione di una norma di legge che consente in questi casi una sorta di esonero dal pagamento”.
Conclusa la gestione da parte dell’amministratore giudiziario, per via della restituzione delle imprese al titolare, l’erario subito si è presentato con un conto salato e reclamandone il pagamento. E se Riscossione Sicilia si è così comportata, è stato spiegato, la colpa è dell’amministratore giudiziario. E quindi tutta colpa del sistema antimafia.
Per la verità dall’impresa non si è alzata nessuna voce contro l’amministratore giudiziario, cosa che invece hanno fatto intendere certe cronache giornalistiche e i soliti commenti comparsi nelle pagine Facebook di chi sa solo essere lesto a chiedere una specie di resa dei conti: “La paradossale situazione in cui si è venuta a trovare la Mannina Vito Srl – ha detto infatti l’avvocato Michele Guitta, uno dei legali del gruppo imprenditoriale – è frutto della normativa vigente che consente in ipotesi di confisca definitiva l’estinzione per confusione dei crediti erariali”.
Ma i 3 milioni di euro reclamati da Riscossione Sicilia non riguardano solo il periodo dell’amministrazione giudiziaria: circa un milione e 400 mila euro rientrano in un finanziamento legge 488, ottenuto da Mannina prima dell’arresto e revocato alla società a seguito dell’indagine giudiziaria; il resto della somma riguarda tributi non pagati dall’amministratore giudiziario che non è stato un evasore, come lo si è voluto rappresentare: “Ho amministrato l’azienda Mannina Vito srl dal 2009 al 2017, negli anni più bui della crisi economica in particolare dell’edilizia – spiega il commercialista Luigi Miserendino – l’azienda non si è arresa, ha continuato regolarmente a produrre, tra moltissime difficoltà amministrative e finanziarie, ha mantenuto in efficienza il suo patrimonio ed ha salvaguardato i livelli occupazionali, in un contesto di chiusure aziendali e crisi finanziarie continue. Da qualche parte dovevamo necessariamente prendere liquidità, indispensabile per mantenere tutto ciò, considerato che sia i fornitori che le banche al mio arrivo avevano chiuso gli affidamenti. Così chiedendo la possibilità di sospensione di una parte dei carichi tributari al concessionario della riscossione, che in caso di confisca definitiva possono essere estinti per il principio di confusione dei patrimoni, siamo riusciti a consegnare ai legittimi proprietari un patrimonio aziendale integro e in efficienza, chiaramente gravato da un maggior debito verso l’Erario, ma di contro alleggerito da molti debiti verso le banche e i fornitori. A questo punto l’azienda ritornata alla normalità potrà, nel tempo, definire i ruoli esattoriali con rateizzazioni massime e rottamazioni di cartelle”.
Tradotto? Tradotto significa che Luigi Miserendino, che è uno dei più accorti e attenti amministratori giudiziari, il professionista che ha salvato dal fallimento la Calcestruzzi Ericina, impresa confiscata al boss Virga e attaccata da Cosa nostra e da alleati “politici” di Cosa nostra, ha riconsegnato all’imprenditore Vincenzo Mannina un’impresa certamente viva, e pare che il fatto sia stato riconosciuto dallo stesso imprenditore. Mannina sembra abbia ringraziato Miserendino per avergli riconsegnato una impresa pienamente efficiente. Se non è così l’imprenditore Mannina ci smentisca o se è così sarebbe bene che lo riferisca ai giornalisti che hanno scritto in questi giorni e a quei leoni da tastiera pronti a costruire barricate sui social network. Luigi Miserendino è subentrato a una preesistente amministrazione giudiziaria che pare avesse come suo obiettivo solo il tener conto dei compensi cospicui che si autoliquidava, e che sono molto al di sopra di quelli che Miserendino attende peraltro ancora di aver liquidati.
Quell’amministratore è stato “licenziato” dalla magistratura che ha preferito incaricare Miserendino. Lo scenario che il nuovo amministratore si è trovato innanzi è stato quello che tutte le concessioni bancarie concesse a Mannina di colpo erano state revocate. Ma di questo comportamento delle banche davanti ai sequestri, banche che considerano lo Stato meno affidabile di un imprenditore, anche se colluso o sospettato di esserlo, certi critici e osservatori della materia preferiscono non parlare (sarà forse per non mettere a rischio i propri fidi bancari). Per non parlare poi dei fornitori. Anche loro restii a concedere, allo Stato, larghe dilazioni nei pagamenti.
Dice Miserendino, lo ripetiamo: “l’azienda non si è arresa, ha continuato regolarmente a produrre, tra moltissime difficoltà amministrative e finanziarie, ha mantenuto in efficienza il suo patrimonio ed ha salvaguardato i livelli occupazionali, in un contesto di chiusure aziendali e crisi finanziarie continue”. L’impresa è andata avanti, ha superato i momenti di crisi e la liquidità l’ha recuperata, in parte, profittando della norma che ha consentito all’amministratore di sospendere il pagamento di alcuni tributi, ma intanto sono stati pagati gli stipendi, sono stati versati i contributi previdenziali e assicurativi, il futuro dei lavoratori è stato rispettato. Ma ovviamente sono aspetti che ai professionisti della critica (all’antimafia) non interessano. Per l’impresa Mannina c’è adesso dinanzi uno scenario irrimediabile? Per come ci sono state spiegate le cose non è proprio così. Intanto per il milione e mezzo di euro di finanziamento revocato c’è un contenzioso in corso, ed essendo venuta meno la ragione della revoca, ossia l’indagine antimafia, non è detto che il responso debba essere negativo. Per il resto delle somme, come sottolinea il dottor Miserendino, c’è la strada della rateizzazione e della rottamazione delle cartelle.
Insomma non sembra che oggi l’impresa Mannina sia costretta a scegliere la strada della liquidazione, per come qualcuno ha quasi rappresentato come realtà innegabile. Non c’è dubbio il sequestro e la gestione dei beni confiscati talvolta presentano aspetti di responsabilità, o meglio irresponsabilità gravi, ma quel che è strano è che dei fatti veri spesso non ci si occupa, preferendo cavalcare come scandali fatti che invece scandali non sono. Per esempio? Si parla sempre troppo poco e quando se ne parla se ne parla male, della Calcestruzzi Ericina Libera; si è parlato dei centri commerciali Despar e del loro declino senza però dire che l’amministratore giudiziario di quei beni, il dott. Ribolla, è stato rimosso con una pesante sentenza del Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani; si parla poco di un’Agenzia nazionale dei beni confiscati che sta lasciando marcire sotto il sole impianti e automezzi dell’impresa di calcestruzzo appartenuta al padrino trapanese Ciccio Pace, o che ha messo a repentaglio il lavoro fatto da alcuni lavoratori di cooperativa in terreni sequestrati a Castelvetrano e le cui lavorazioni si sono dovute interrompere perchè nel frattempo è scattata la confisca e sarebbe bastato applicare la logica e permettere di arrivare ai raccolti, invece di fermare tutto senza nemmeno velocemente incaricare i nuovi gestori; si è parlato pochissimo di un altro amministratore giudiziario, anche lui rimosso, quando stava mettendo in crisi una struttura alberghiera a Castelvetrano.
E potremmo continuare a fare altri esempi. Ma il caso Mannina di oggi per come raccontato da certuni ci ha fatto ancora più rendere conto che a Trapani la categoria che prevale è quella dei “professionisti della malafede”, così come molti anni addietro ebbe a dipingerli l’allora questore Giuseppe Gualtieri.
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