Aemilia, l’appello riporta la politica nel processo
Il 22 aprile dell’anno scorso c’era stata la prima sentenza di Aemilia, il più grande processo di ‘ndrangheta nel nord Italia. 58 condanne su 71 imputati che hanno seguito il rito abbreviato, 305 anni di carcere.
Oggi nel Tribunale di Bologna è arrivato il verdetto di appello, che dimostra come l’impianto accusatorio abbia retto: sono confermate quasi tutte le sentenze del primo grado con due assoluzioni modificate in condanne. Tra queste, la condanna a quattro anni per Giuseppe Pagliani, consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici. Per lui l’accusa era quella di aver fornito il suo aiuto al clan ‘ndranghetistico piegando la propria attività politica a fini criminali.
Per l’altro politico che era stato coinvolto nel processo, Giovanni Paolo Bernini, ex assessore Pdl a Parma per cui i Pubblici Ministeri avevano chiesto 6 anni, è confermato il proscioglimento per prescrizione dall’accusa di corruzione elettorale.
L’altra assoluzione modificata in condanna a 4 anni e 8 mesi è quella di Michele Colacino, imprenditore nel settore dell’autotrasporto con importanti appalti per la raccolta rifiuti sulle province di Reggio Emilia e Parma, che era in stretto rapporto di amicizia con Romolo Villirillo fino al suo arresto avvenuto alla fine di luglio del 2011 per una tentata estorsione attuata con il metodo mafioso e poi con Nicolino Sarcone.
Modificata anche la pena di Giuseppe Giglio, diventato collaboratore di giustizia, che da 12 anni è stata ridotta a 6 anni: Giglio, infatti, è ritenuto essere uno dei principali organizzatori della ‘ndrina, che con la sua collaborazione ha permesso nuove importanti rivelazioni sulla cellula emiliana.
Sono state invece confermate tutte le condanne di primo grado ai boss della ’ndrina alla sbarra in Aemilia: Nicolino Grande Aracri, che non aveva un ruolo di primo piano nel processo, era stato condannato a 6 anni e 8 mesi; Alfonso Diletto a 14 anni e 2 mesi; Francesco Lamanna a 12 anni; Romolo Villirillo a 12 anni e 2 mesi; Nicolino Sarcone alla pena più alta di 15 anni, Antonio Silipo a 14 anni e Antonio Gualtieri a 12 anni. Confermata poi la condanna a Domenico Mesiano, ex autista del questore di Reggio Emilia, condannato a 8 anni e 6 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa e per le minacce alla giornalista Sabrina Pignedoli, alla quale dovrà risarcire 4mila e 800 euro per le spese legali.
Oltre a queste, confermata anche la pena per Giulio Gerrini, tecnico del comune di Finale Emilia, condannato a 2 anni e 4 mesi per abuso d’ufficio continuato, che dovrà risarcire il Comune da cui era stato nominato capo ufficio dei Lavori pubblici di 3mila euro per i danni causati. A causa dei sospetti legami di Gerrini con la ‘ndrina emiliana al centro di Aemilia, il comune aveva rischiato lo scioglimento: su 55 lavori pubblici, infatti, in 17 casi non erano stati effettuati i previsti controlli antimafia e dopo il sisma in almeno due casi i lavori erano stati affidati a ditte infiltrate dalla criminalità organizzata di tipo mafioso. Per Gerrini era caduta in primo grado l’accusa di aver favorito l’associazione mafiosa e non è stato interdetto dai pubblici uffici.
Sulla sentenza Libera ha dichiarato: “Accogliamo favorevolmente la sentenza della corte di Appello di Bologna che accoglie l’ impianto accusatorio riconoscendo il grande lavoro della Procura Generale. La conferma delle pene dimostrano ancora una volta che la ‘ndrangheta c’è, dunque esiste anche in Emilia Romagna. Sin dall’inizio Libera si è costituita parte civile nell’ambito del procedimento, proprio per ribadire quanto la ‘ndrangheta leda e soffochi i diritti della società civile e responsabile. Come Libera proseguiremo nel nostro lavoro quotidiano fatto di impegno e responsabilità, forti di questo importante risultato. Le infiltrazioni mafiose, che interessano questo territorio come ormai la maggior parte delle zone del Paese, si contrastano con la repressione e gli strumenti giudiziari, ma il primo e imprescindibile strumento rimane il risveglio delle coscienze, l’orgoglio di una comunità che antepone il bene comune alle speculazioni e ai privilegi, contrastando in tutte le sedi la criminalità organizzata e i suoi complici”.
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